Innocenza e Colpa


William Blake, Il Grande Drago Rosso e La Donna Vestita di Sole
1803-1805  Brooklyn Museum  New York

Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente” Romeo e Giulietta, William Shakespeare

Secondo il mito veterotestamentario, mordendo il frutto dell’Albero del Bene e del Male, Adamo ed Eva rinunciarono alla felicità eterna dell’Albero della Vita per acquisire la conoscenza; scelsero di separarsi dall’Uno originario per diventare uomini.
La conoscenza, distruggendo la condizione paradisiaca dell’innocenza, precipitò l’uomo nel peccato, nella ricerca inesauribile, nel dubbio eterno.
L’uomo non divenne simile a Dio, rinunciò all’immortalità ma conquistò la libertà e insieme il senso di colpa.
Dall’unione del maschile e del femminile, le due polarità fondamentali dell’esistenza, riuscì a ricostruire in terra il paradiso terrestre, divenne creatore di nuove vite, conobbe il piacere e il dolore ma perse la purezza dell’originaria innocenza, macchiata per sempre dalla colpa originale. L’innocenza oggi indica la mancanza di colpa o responsabilità morale e giuridica (per secoli sono stati definiti figli della colpa i nati illegittimi o indesiderati), ignoranza del male o stupidità; nel migliore dei modi l’innocenza è associabile all’ingenuità del bambino o al candore di chi non è stato corrotto dal mondo.
Nel Vangelo di Matteo si legge: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi”, eppure i lupi spesso non si fanno riconoscere, mentre l’ingenuità senza difese, fiduciosa di vivere in un mondo autentico e senza menzogne, è destinata a soccombere. Amore, Forza e Compassione, pilastri dell’Albero della Vita, non furono dati ai nostri progenitori, che precipitati anzitempo nel nulla, regredirono velocemente nella confusione dell’ignoranza e della crudeltà.
“Il poeta regnava affianco del carnefice”, “al sorriso insanguinato dell’innocenza” scrive Milan Kundera ne “La vita è altrove”: tra il desiderio di essere felice e l’impossibilità di esserlo, tra il bisogno di libertà e la schiavitù di una vita piena di contraddizioni, volgarità, insensibilità, il candore dell’innocenza è il ricordo ancestrale di un Eden primigenio, rimasto forse nei sogni, nella fantasia, talvolta nella poesia, nella musica o nella letteratura, come dono o come condanna.
Per Stig Dagerman l’innocenza era insieme il bene più prezioso e il peggiore dei mali, cristallo purissimo che la vita infangava con la sua volgarità. Questo scrittore dalla sensibilità esasperata, abbandonato dalla madre in tenerissima età, ci racconta il suo dolore e il suo male di vivere attraverso i bambini dei suoi libri che tentano di venire a patti con la durezza di una società che li fa sentire sbagliati, tristi, disillusi più degli adulti e senza sogni.
L’innocenza del bambino è curiosità, desiderio, scoperta, forza e incoscienza “Non è vero che un bambino che si è bruciato sta lontano dal fuoco” scrive Dagerman in “Bambino bruciato”.
Egli “è attirato dal fuoco come una falena alla luce, sa che se si avvicina si brucerà di nuovo. E ciononostante si avvicina”. Innocenza e colpa si confondono nella solitudine del piccolo Pin de “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino.
In un piccolo paese della Liguria, all’epoca della seconda guerra mondiale, Pin, orfano di madre, abbandonato dal padre e dalla sorella prostituta, cerca affannosamente un po’ di compagnia, conservando una sua particolare innocenza, nonostante beffe e rifiuti. Sottrae la pistola di servizio a un marinaio tedesco, amante della sorella e la nasconde in un nido di ragni. Portato in carcere, conosce Lupo Rosso che prima lo aiuta a evadere ma poi lo abbandona a girovagare nel bosco dove, insieme ai partigiani, sperimenta il coraggio e il tradimento, la solidarietà e la viltà, la rabbia, la morte, la fuga. Il rifugio del nido dei ragni, spazio in una natura quasi surreale, offrirà finalmente a
Pin una sorta di grembo materno dove è ancora possibile ritrovare il sogno di un’infanzia pulita e l’innocenza misteriosa e fiabesca di un bambino a cui è stato dato di giocare con una pistola.
Per Calvino l’innocenza è la ricerca inconsapevole di un paradiso perduto, di una sorta di stato originario in cui si è a contatto costante con una natura incontaminata e che, nella figura di “Marcovaldo” diventa un mezzo di salvezza, l’unica soluzione all’alienazione di un capitalismo esasperato.
A lui si contrappone il pensiero di Pasolini che assimila l’innocenza all’ignoranza, considerata una colpa e una condanna.
C’è una certa analogia, comunque, tra i partigiani vissuti da Pin come compagni e i ragazzi delle borgate romane che sciamano nella Roma desolata e violenta della periferia.
Come Pin anche i “ragazzi di vita” di Pasolini sono privi di una identità e consapevolezza, entrambi vittime della follia degli adulti.
Non sono innocenti ma non possono considerarsi colpevoli i ragazzi costretti a subire miseria, perversioni e ingiustizie se non sono stati resi consapevoli da una società malata e da genitori e adulti irresponsabili.
Recuperare l’innocenza ricercando la purezza dell’infanzia come rifugio e mezzo di salvezza è difficile, diventa impossibile quando i grandi hanno rubato ai bambini l’infanzia sprofondandoli nelle miserie gonfie di vuoto e di dolore.
È una colpa di tutti la miseria contrapposta allo spreco, è una colpa ignorare gli orrori di una guerra anche se lontana da noi, è una colpa non assumersi la responsabilità nei confronti degli altri e di se stessi.
È compito difficile e doloroso, ma non impossibile, procedere a tentoni alla ricerca di se stessi, venire a patti con i limiti e i compromessi della vita con la nostalgia del passato, quando la vita era un’attesa, un gioco, una costante scoperta e l’innocenza chiedeva attenzione e comprensione, contenimento e consolazione nella solitudine.
Colpa è rinunciare a comprendere che in ogni bambino possiamo ritrovare una parte di noi che abbiamo dimenticato, quando eravamo senza passato e l’innocenza si leggeva nella magia del sorriso, quando la fantasia era creatività pura che non mirava che alla gioia. 
Liberarci dall’innato senso di colpa presuppone avere la fortuna di essere accolti, amati ed aiutati a crescere.
Un rapporto tra il mondo degli adulti e quello dei bambini ce lo regala Jordi Sierra i Fabra in “Kafka e la bambola viaggiatrice”, racconto ispirato a un episodio reale della vita di Kafka.
Un giorno Kafka, passeggiando in un parco, si imbatte in una bambina che piange disperatamente. C’è così tanto dolore nei suoi occhi che Kafka le va incontro e scopre che la piccola Elsi ha perduto la sua bambola Brigida. Colpito da tanto dolore cerca di consolarla inventando una storia. Le dice che la bambola è partita per un lungo viaggio, per conoscere il mondo e raccontarle le varie avventure, come fanno tutte le bambole con le bambine che stanno diventando grandi. Egli sa tutto perché è il postino delle bambole e riceve quotidianamente lettere da Brigida. Da quel momento l’uomo e la bimba si incontreranno ogni giorno per leggere le lettere che Kafka scriveva e, in quanto postino, riceveva da Brigida per Elsi. Dopo diversi incontri lo scrittore le regalò una bambola, naturalmente diversa da Brigida (“I miei viaggi mi hanno cambiata”). Qualche tempo dopo Elsi trovò dentro la bambola questo biglietto “Ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa”. Kafka aveva trasformato la realtà per preservare Elsi dalla delusione; con i suoi racconti la conteneva, le dava amore e la rassicurava delle complicazioni della vita, preparandola ad affrontare le inevitabili rinunce.
Le favole che raccontiamo e ci vengono raccontate sono indispensabili in un mondo che ci proietta negatività. Per un processo di strutturazione logica della mente c’è uno spazio temporale ben preciso che, una volta perso, è molto difficile recuperare.

Kundera Milan, La vita è altrove (trad. Serena Vitale), Milano, Adelphi, 1987
Dagerman Stig, Bambino bruciato (trad. Guido Tozzetti), Milano, Iperborea, 1994
Dagerman Stig, Il nostro bisogno di consolazione (trad. Fulvio Ferrari), Milano, Iperborea, 1991
Calvino Italo, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1947
Calvino Italo, Marcovaldo ovvero le stagioni in città, Torino, Einaudi, 1963
Pasolini Pier Paolo, Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 1955
Sierra i Fabra Jordi, Kafka e la bambola viaggiatrice (trad. Elena Rolla), Milano, Salani, 2016


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