QUESTE COSE NON ACCADDERO MAI MA SONO SEMPRE

John Strudwick, Un Filo Prezioso, 1885 (olio su tela)
Il mito è un racconto che accompagna l'uomo fin dalla nascita, rinasce ogni qual volta egli cerca se stesso negli occhi dell'altro, si perde in un sogno, cerca il senso della memoria e dell'oblio, della gioia e del dolore, dell'amore e dell'odio, della violenza, della pace, della guerra, della vita e della morte.
Presente, passato e futuro: Cloto, Lachesi ed Atropo, le Moire, figlie della necessità, cantano al suono delle sirene il destino dell'uomo. 
Esso non sceglie quando nascere e quando morire ma ha il potere su di sé nell'arco della sua vita terrena.
Non ha padroni la virtù, quanto più ciascuno di voi l'onora, tanto più ne avrà, quanto meno l'onora, tanto meno ne avrà. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non ha colpa. Platone, Repubblica X, 617b
È il messaggio di Lachesi a colui che nasce.
Nella pianura di Lete berrà dal fiume Amelete, dimenticherà la vita precedente e inizierà una nuova vita.
Ma nelle sue vene scorrerà il sangue delle precedenti generazioni.
Il mito è un racconto che può essere capito solo narrandolo, narrando la vita dell'umanità tutta.
Se vogliamo inoltrarci verso le sorgenti della nostra identità, scopriamo che la risposta alle innumerevoli domande sono da ricercare in ciò che l'uomo ha scoperto nell'arco della sua storia di uomo, che ha poi proiettato fuori di sé e via via ha trasformato in leggi universali, coscienza civile e morale.
Protagonista del mito era in epoca arcaica l'essere divino, il progenitore le cui azioni avevano la funzione di fondare sacralmente un modo di comportarsi e al quale l'uomo doveva adeguarsi nel suo vivere quotidiano. Imitare il comportamento del dio serviva da garanzia, metteva al riparo dal pericolo che l'azione comporta e contemporaneamente permetteva di accedere a quei valori che danno alla vita terrena quella tensione costante verso il divino e l'eterno.
Nei miti si riconosceva la presenza di ciò che si riteneva desse senso all'esperienza quotidiana e aiutasse, attraverso rappresentazioni e immagini immediate, a cogliere la verità.
È come se nei giardini del sogno gli dei si manifestassero e regalassero all'uomo il potere di trasformare la materia di un elemento naturale in un elemento libero, principio generativo del sistema di valori di una società.
Forma simbolica del pensiero, che per analogia, organizza la riflessione sull'esistenza e l'esperienza umana mediante la narrazione di eventi passati.
Dario Del Como, Mito e miti dalla parola all'immagine
Miti Greci, Mondadori Electa 2004
Nato come metafora dei fenomeni naturali, il mito diventa nel tempo risposta dell'immaginazione ai problemi del reale, a interrogativi di carattere sociale e psicologico, trasposizione fantastica di avvenimenti storici, filo rosso che percorre la vita dall'antichità all'oggi, e in modo specifico, raffigurazione simbolica delle immagini che popolano l'inconscio.
Costituisce infatti la sostanza base per lo sviluppo di ogni forma d'arte, dalla letteratura, alla pittura, dalla musica, al teatro, al cinema.
Cosmogonie, teogonie, antropogonie.
L'universo, gli dei, gli uomini è il titolo che Jean-Pierre Vernant ha dato al suo racconto del mito.

Jean-Pierre Vernant
L'Universo, gli Dèi, gli Uomini
Einaudi 2001
Esso racconta degli dei e dei giganti, degli uomini che sfidano gli dei e dagli dei vengono puniti, della terra e del cielo, del fuoco e dell'acqua, della notte sorta dal Caos da cui poi nacquero Eros l'amore ed Erebo l'inferno.
La "verità" intrinseca in ogni narrazione mitologica emerge dalla presenza di connessioni significative tra immagini apparentemente identiche o assai simili in epoche e aree culturali diverse.
Sono immagini archetipiche presenti nell'inconscio collettivo, aldilà delle diverse teorie che attribuiscono tali racconti mitologici a precedenti culture giunte a elaborare analoghe sovrastrutture ideologiche in corrispondenza con analoghe condizioni di vita (funzionalismo) oppure appoggiano l'ipotesi dell'esistenza di determinati cicli culturali attraverso i quali passerebbero tutte le culture nel corso del loro sviluppo storico (evoluzionismo).
Il modo di vedere mitologico va oltre una necessità funzionale, è una costante ideologica-linguistica umana che caratterizza oggettivamente, in sé per sé, la cultura in cui appare documentato.
Queste cose non avvennero mai ma sono sempre, scrive Sallustio.
Amori, tradimenti, guerre, violenze, vendette, paure, così come qualsivoglia passione o istinto o sentimento, nel mito si trasforma, diventa narrazione, favola, oracolo "parola".
(Il mito racconta come le prime cinque vocali del primo alfabeto siano state inventate dalle Moire e alpha sia stata la prima perché alphe significa onore e alphainen significa inventare.)
Con Lévi-Strauss si configurano i materiali mitologici in termini logico-linguistici e vengono analizzati in semiologia come ogni altro sistema di segni.
Narrare i miti è fare uso di determinati codici, evocare immagini e connessioni di immagini; il codice linguistico è in questo senso molto spesso un codice di gesti; compiere un gesto che si rifà al modello mitico è come nominare quel modello, evocarne il simbolo.
È da questa funzione simbolica del mito e dalla sua ripetizione evocativa la sua trasformazione in parola.

Dalla parola all'immagine
La forma che maggiormente caratterizza la rappresentazione del mito è la parola trasformata in immagine; il racconto acquista una sua autonomia ponendosi in una dimensione che pur essendo fuori dal tempo reale, coincide con la magica realtà del mondo interno.
L'immagine è parola, la parola è musica, il ritmo accompagna le intermittenze del cuore.
È l'emozione che coglie chi rivive in Nostos di Franco Piavoli, la trasfigurazione del viaggio che l'uomo Ulisse fa a ritroso alla ricerca del senso della vita.
Quando ad Ulisse, dopo la morte, fu data la possibilità di scegliersi un'altra vita, Platone racconta che:
[...] si avviò alla scelta lasciando da parte ogni desiderio di gloria, memore delle sofferenze della vita precedente; si aggirò pertanto a lungo, alla ricerca della vita di un uomo qualunque, senza preoccupazioni e la trovò a fatica, relegata in un angolo, trascurata dagli altri.


Ulisse di nome fa ora Leopold Bloom
Giulio Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš
Cortina, Milano 2004

Sta nello spazio ciò a cui nel tempo devo arrivare, ineluttabilmente
Scilla e Cariddi: la biblioteca
Ulysses, James Joyce

Egli come tanti vive "la sua odissea moderna, sarà accolto e respinto. Conoscerà la seduzione delle sirene e rammenterà quella di Calipso. Assisterà a un funerale al mattino e a un parto la sera. Scamperà alla violenza dei Ciclopi irlandesi e troverà la sua Nausicaa a Sandymount Strand. Sarà tra i porci nel bordello di Circe e nient'affatto inflessibile con i proci che ne insidiano il talamo... per ritornare al sonno come uno stanco Simbad il marinaio".
È il percorso di una vita che duri un giorno o un secolo.
Nostos è un film in cui le divinità primordiali diventano acqua, terra, fuoco.
Il mito della natura benevola o malevola, accogliente o pericolosa è reso in splendide immagini di un profondo lirismo dove gli affanni dell'uomo che lotta per sopravvivere si scontrano con la lentezza e l'immensità di un mare senza limiti, con la grandiosità di un cielo che tutto avvolge con le sue luci e le sue ombre, con la forza di una terra inaccessibile nelle sue maestose rocce a picco, oppure dolce e accogliente nelle distese verdi.
Le parole, poche, sono suoni arcaici di una antica lingua primaria... "mater, mater, joshi, criptoi".
Non importa il loro significato, sono le immagini a parlare così come sono le immagini dell'acqua di un fiume, della pioggia, del mare a parlarci del pianto di una umanità sofferente ne La Sorgente del fiume di Theo Angelopoulos.
In un'atmosfera opprimente un cielo cupo incombe su masse vestite a lutto mentre l'acqua, elemento figurativo dominante, sembra avvolgere tutto.
Angelopoulos rievoca gli archetipi più classici della tragedia greca: il figlio uccide il padre dopo avergli rubato la compagna, condanna se stesso all'esilio mentre i suoi figli si combatteranno in una guerra fratricida.
Edipo e i sette contro Tebe sono miti antichi, gli avvenimenti raccontati sono storia contemporanea.
L'elemento più interessante è aver portato in primo piano l'individuo, con il suo travaglio immutabile nel tempo, e il suo dolore a un livello universale.

Dal mito ai miti
Il mito nella sua accezione antica offre un'esperienza paradossale che consiste nel dare un volto agli dei e al contempo a riconoscerne l'inaccessibilità.
Oggi la nascita di un mito è resa tale dalla possibilità di essere accessibile, corporeo, presente; è uno strano fenomeno che scavalca la dimensione sacrale entrando in una dimensione antropologica e psicologica a dimostrare un profondo bisogno di sentirsi esistere in un mondo che vive imprigionato nel quotidiano senza prospettive future e avendo rotto i legami col passato.
Narcisismo e depressione sono i mali del secolo, ne derivano solitudine e dipendenza, per superare i quali si inventano nuovi miti con i quali identificarsi o dai quali far dipendere le proprie speranze.
Il mito dei miti è il potere, qualunque forma di potere e in qualunque modo lo si ottenga.
Il potere del denaro, il potere della bellezza, il potere sulla natura, il potere sull'altro.
Assurdamente si ignora l'unico vero potere, il potere su se stesso per la conquista della libertà da tutti quei condizionamenti consci e inconsci che portano a stravolgere ogni valore umano e a imprigionare le menti.
Nel mondo globale e mediatico, l'Uomo è morto.
L'incapacità dell'individuo a contenere se stesso genera necessariamente il potere del gruppo, che per sua natura è ambiguo e spesso irrazionale.
In Psicologia delle masse e analisi dell'Io Sigmund Freud scrive del potere sul gruppo e contemporaneamente del gruppo alla cui influenza è esposto il singolo quando si trova in una struttura collettiva. (Sigmund Freud, Opere, 1921 vol. IX, Boringhieri, Torino)
Pur riconoscendo che raramente la psicologia individuale prescinde da una psicologia sociale (l'altro è sempre presente nell'individuo) Freud non attribuisce un'importanza tale da condizionare le sue scelte solo al fattore numerico; bisogna capire, egli dice, che genere di vincolo li lega fino a farli diventare un'unità.
Presa in sé, la massa psicologica è una creatura provvisoria che acquista un'anima collettiva partendo da elementi eterogenei.
Essendo scomparso il modo d'essere specifico, l'individuo nella massa acquista un sentimento di potenza che gli permette di cedere a istinti o passioni che, da solo, non avrebbe espresso.
Freud parla del venir meno del senso di responsabilità, di una sorta di "contagio mentale", di suggestione che aumenta via via perché reciprocamente esercitata.
Nella massa l'individuo regredisce, lascia via libera all'istinto e alla spontaneità ma anche alla violenza o all'entusiasmo, alla ferocia o all'eroismo, dando sfogo a gesti nobili o crudeli, eroici o vili.
Il gruppo vivendo uno straordinario senso di onnipotenza, la convinzione che nulla è impossibile, la pretesa di un immediato compimento di ciò che desidera, regredisce a un livello infantile dove non c'è posto per dubbio perplessità; si pensa essenzialmente per immagini e non importa se concordano più o meno con un senso di realtà.
Infatti chi influenza la massa non ha bisogno di rendere logiche le proprie argomentazioni, deve solo esagerare o ripetere sempre le stesse parole o le stesse immagini.
Crea il mito a tavolino, esercita la potenza magica della parola e dell'immagine per condizionare e sedurre, con la consapevolezza che ha buon gioco tutto ciò che appare come soddisfacente il bisogno immediato e indotto.
È raro che la massa abbia sete di verità, ciò che trionfa è l'illusione.
Gli individui che la compongono però, nella solitudine della loro individualità, soffrono in modi diversi.
Smarrendo nel vuoto della parola anche la pienezza dell'immagine, l'uomo ha perso anche il contatto col suo inconscio e ne soffre.
Nel 1935 Edmund Husserl, in una conferenza a Vienna sulla crisi dell’umanità europea, disse:
Dalle ceneri della grande stanchezza rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell'umanità perché soltanto lo spirito è immortale.
È il potere della speranza.

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