Racconti


Il sogno di Kim


1. Di come Kim e il gatto entrarono in un mondo incantato e incontrarono tutti i tesori racchiusi in una conchiglia

Rannicchiato sul grande divano della sala in penombra, Kim si riposava.

Dietro gli occhi chiusi, tra il sonno e la veglia, sfilavano come scene di un film, i momenti più belli della giornata di festa: la caccia al tesoro in giardino, i suoni, i colori, gli amici arrivati in gruppo con grandi scatole in carte colorate.

A Kim era sempre piaciuto svolgere pian piano l’involucro dei pacchi, attento a non rompere i fiocchi lucenti.

Già quella era una gioia e gli oggetti sbucavano come per incanto: una splendida automobilina rossa, una d’argento, un autobus con le portiere apribili, un domino con tanti animali dipinti su ogni tavoletta, un nuovo gioco del “Monopoli”, cioccolatini, libri illustrati, caramelle.

Intorno a lui, via via che i pacchetti venivano aperti, gli altri bambini esclamavano in coro: - Oooh! Oh, che bello!!! – .

- Questa macchinina ce l’ho anch’io, proprio uguale - aveva detto Stefano e uno sguardo fuggevole aveva stabilito un’intesa, un’alleanza.

Tutto era stato gioioso e allegro, niente dispetti, niente cattiverie.

Kim aveva scoperto di non provare la solita paura e la solita vergogna di quando sta in mezzo alla gente, anzi aveva sorriso a Gloria, la sua amica bionda e lei gli aveva risposto con un altro sorriso.

Aldilà del tavolo anche la mamma gli aveva sorriso mentre tagliava la torta.

E avevano cantato in coro e avevano battuto le mani mentre spegneva tutte in una volta le sei candeline.

Ah, se ci fossero più compleanni all’anno…pensava Kim sbadigliando e stiracchiandosi.

Il gatto, sbucato da dietro una poltrona, saltò sul divano sbadigliando anch’esso; mentre stirava una zampa alla volta, mostrò i suoi artigli, li infilò più volte nel velluto del divano e, ronfando, si acciambellò sulle gambe del bambino.

- Finalmente! Dove sei stato? E’ la mia festa e tu sei scomparso tutto il pomeriggio- disse Kim.

- Non mi piace la confusione e poi tutte quelle mani che vogliono accarezzarmi mi danno davvero fastidio- rispose il gatto.

- Ho ricevuto dei doni bellissimi-

- I soliti giocattoli da bambino-

- Non sono più un bambino- si infuriò Kim –il nonno ha detto che sono diventato grande e mi ha regalato una collezione di francobolli con la lente, una pinza e un album. Vuoi vederli?-

- Hm, hm… - rispose il gatto.

Kim aprì l’album, ne estrasse il francobollo più bello e più grande, lo mostrò al gatto e disse:

- E’ la più bella farfalla che abbia mai visto, vive nei paesi tropicali in mezzo ai fiori grandi e profumati-

- Lasciala volare- propose il gatto.

Kim aprì le dita e la farfalla si staccò dal francobollo e cominciò a volare, agitando dolcemente le ali arancioni macchiate di verde e di blu.

Fece tre giri nella stanza, poi si posò sulla specchiera di fronte al camino e un’altra farfalla uguale a lei la baciò sulla bocca.

Agitò le ali.

Anche l’altra farfalla agitò le ali, si staccarono ed insieme volarono via aldilà dello specchio.


-Andiamo- disse il gatto e porse una zampa a Kim.

Non avendo le ali, dovettero fare un saltello per oltrepassare la cornice dello specchio e Kim ebbe paura per un attimo di cadere perché, data la sua statura, non vedeva bene il pavimento aldilà.

Chiuse gli occhi e rimbalzò su un pianoro morbido e tenero.

Aveva le mani appoggiate per terra, quando riaprì gli occhi.

La cosa che per prima lo colpì fu uno strano profumo; respirò a pieni polmoni e si guardò attorno.

Il suolo, ricoperto di un’erbetta tenera e vellutata, era umido e soffice.

Ci si poteva camminare o saltare o rotolarsi o far capriole.

Non c’erano sassi sporgenti o muretti o intralci di nessun genere, Kim si muoveva indifferentemente a quattro zampe o sui piedi o sulle mani senza difficoltà.

Il gatto sorrideva, lui rispose al sorriso e notò, meravigliato, che riusciva ad esprimere la propria gioia con tutto il corpo.

-In questo paese- disse il gatto -gli abitanti non hanno bisogno del naso per sentire i profumi, della bocca per parlare, tu puoi usare tutto il corpo per vedere, sentire, toccare, parlare-

E Kim sfiorò con l’alluce il rosa tenue della corolla di un fiore e così seppe di un raggio di sole caldo che aveva penetrato una zolla di terra e del vento di un paese lontano che aveva guidato sette note alla ricerca di una canzone.

Aprì le mani e migliaia di voli di rondini passarono tra le sue dita portandogli in dono il luccichio del mare sfiorato dalla luce del mattino.

Io già conosco tutto questo, pensò, e le farfalle lo guidarono lungo una spiaggia dalle dune rosa e lo invitarono a spogliarsi e a giocare con le conchiglie d’argento.

L’acqua scorreva sul suo corpo, entrava nelle sue orecchie a raccontargli buffe storie di pesciolini, ma lui sorrideva e non dava molta retta.

Si sa che l’acqua scorre e non ricorda quello che dice, non ha molta memoria.

La conchiglia rosa, vezzosissima, credeva di essere un fiore ed emanava un profumo intenso per attrarre il bambino.

Kim allora raccolse sette conchiglie, le legò l’una all’altra e ne fece una collana.

Se la mise al collo e sentì un gran caldo percorrergli tutto il corpo e in bocca un sapore di miele e di fragole.

La conchiglia rosa cantava al suo orecchio una nenia dolcissima:

Tornerò…
E sarò la tua grotta incantata,
Non fuggire… Rimani,
E domani…domani…
Se rimani…
Tornerò…
E sarò la tua grotta incantata…

Kim chiuse gli occhi e fu come entrare nella conchiglia mentre la conchiglia veniva trasportata da un’onda lunga, tanto lunga che ripulì tutta la spiaggia e la trasformò in una grande morbida altalena.

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2. Di come sia difficile entrare nel Parco della Vittoria e non farsi travolgere dal carro del principe

Le farfalle intanto, volando di fiore in fiore, avevano raccontato del compleanno del bambino e tutti si preparavano a far festa nel castello.

Il castello era situato nel Parco della Vittoria e per arrivarci bisognava attraversare tutta la città.

Kim e il gatto si guardarono attorno; alte mura si erano innalzate al loro fianco, non si vedeva più il cielo, tanto era lontano.

Erano capitati in un vicolo stretto che più che una strada sembrava una galleria buia.

Affrettarono il passo e sbucarono in un vicolo meno stretto del precedente ma molto più corto e senza uscita.

-E ora?- chiese Kim.

Una finestra si illuminò nella casa alla fine della stradina e un vecchio, molto vecchio e molto bianco si affacciò.

Era tutto ammantato di scuro, si appoggiava con la mano sinistra su un bastone di bambù e con la destra alzata faceva luce davanti a sé grazie ad una lanterna.

-Cosa cerchi?- chiese al bambino.

-Dobbiamo arrivare al castello nel Parco della Vittoria ma non sappiamo come andarci-

-Il castello è molto vicino in linea d’aria- rispose -ma tu hai il lasciapassare?-

-Il lasciapassare? Cos’è?-

-Il permesso, il biglietto d’ingresso.-

-No! Ma al castello hanno preparato una festa per me ed io debbo andarci perché altrimenti non sanno per chi fare la festa.-

-Capisco- ribatté il vecchio -hai delle buone probabilità allora, ma devi percorrere una lunga strada non sempre facile e piena di imprevisti. Proverò a farti luce per un tratto. Buona fortuna.-

Il bimbo e il gatto un po’ tremanti, tenendosi per mano si incamminarono.

La strada dapprima si snodava diritta e piana, chiara e luminosa grazie alla luce della lanterna, poi la luce cominciò ad affievolirsi mentre dei sassi sempre più grossi intralciavano il passo.

Ben presto Kim fu stanco, aveva voglia di piangere e desiderava tanto la mamma ma strinse i denti, tirò un sospirone e decise di fermarsi a riposare, come un vero bambino grande.

Strinse al petto il gatto, chiuse gli occhi e tentò di dormire accucciato al bordo della stradina.

Era quasi addormentato quando un rumore abbastanza forte lo svegliò di soprassalto; aprì gli occhi, il gatto sgusciò via dalle sue braccia e miagolò forte.

Un carro tirato da quattro cavalli aveva appena girato l’angolo sulla destra e si avvicinava a velocità sostenuta.

Le ruote sembravano gemere dalla fatica e, urtando contro i sassi della strada rischiavano di staccarsi e far crollare tutta l’impalcatura.

Sul carro, infatti, c’era un baldacchino lussuosissimo coperto di drappi colorati e illuminato a giorno nell’interno con lampadine a forma di stella.

Al timone un uomo giovane, vestito da principe, teneva in mano le redini guardando fisso davanti a sé.

Kim si scostò impaurito al bordo della strada, il carro era veramente grande e, in quel posto la strada si restringeva.

Aveva veramente paura di finire sotto le grandi ruote rosse per cui cominciò ad agitare le braccia e ad urlare.

Il principe, arrivato a pochi centimetri da lui, tirò le redini e si bloccò.




Visto da vicino il carro era ancora più bello e luminoso e Kim affascinato non riusciva più a parlare.

Parlò il principe con voce irata:
-Cosa fai qui? Non ti rendi conto che, intralciando il mio lavoro, fai arrabbiare la mia regina?-

Prima che Kim potesse rispondere qualcosa per giustificarsi, il principe lo aveva sollevato e deposto sul carro, riprendendo la sua corsa.

Nell’interno del carro c’erano due grandi sacchi.

Di tanto in tanto il principe immergeva una mano in uno dei due, alternativamente, ne estraeva il pugno chiuso e faceva il gesto di lanciare a destra e a sinistra quanto in esso contenuto.

Kim pensò che costui fosse completamente pazzo e cominciò ad avere ancora più paura.

Guardò dietro di sé e poi davanti e poi ancora dietro e, finalmente capì.

La strada dietro era illuminata, quella davanti era al buio; girando la testa distingueva case, insegne, alberi aiuole, davanti il buio più pesto.

Il principe seminava le stelle e le stelle con la loro luce facevano nascere le strade e via via tutta la città.

Data la velocità del carro e la lentezza con cui Kim sillabava, era difficile che un’indicazione fosse veramente chiara.

Kim stava pensando che se avesse già frequentato la prima elementare avrebbe saputo leggere, quando il carro improvvisamente si fermò.

-Dove siamo?- chiese.

-Ad ovest- rispose il principe -per causa tua ora dobbiamo fermarci e cedere il passo-

Kim era un po’ avvilito e non riusciva a capire quale fosse la sua colpa.

Forse aveva perso tempo o aveva avuto paura.

Guardò aguzzando gli occhi e vide un passaggio a livello chiuso.

Aspettavano un treno dunque; bene, a lui piacevano i treni, chissà perché il principe era arrabbiato.

Via via che il tempo passava, dal silenzio nasceva un brusio indistinto, sembravano canti o voci acclamanti molto lontane, e una strana luce si diffondeva.

A Kim sembrò di vedere dell’acqua sgorgare da un punto lontano e scorrere verso di loro, aveva un colore grigio argenteo molto incerto, poi aumentò di volume, si trasformò in torrente, in fiume, in mare.

Le onde si ingrossavano sempre di più, avanzavano, stavano per inghiottire tutto…ancora un attimo e… Kim chiuse gli occhi e aspettò col cuore in gola.   

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3. Di quanta paura si può provare quando c’è buio. Un venditore ambulante diventa giocoliere, Kim insegna ai grandi a non parlare a vanvera, ma arriva un nero gendarme a farlo prigioniero

Quando il bambino aprì gli occhi, l’acqua non c’era più, anche i canti lontani erano svaniti.

Una luce grigia e incerta illuminava uno spettacolo totalmente diverso.

Una pianura si estendeva a perdita d’occhio, un branco di cani famelici inseguiva un’antilope che, dopo aver girato intorno, cominciò a salire su una scala a pioli che appoggiava su niente.

Kim alla vista dell’antilope che, una zampa dietro l’altra, saliva su per la scala, cominciò a ridere, e rideva, rideva fino alle lacrime piegandosi in due fino a che non si accorse che un’altra risata faceva eco alla sua, uguale alla sua in tutto e per tutto.

Si fermò e con la risata scomparve l’antilope, scomparvero i cani e la pianura.

Cominciò a sentirsi perso, non si raccapezzava; guardò verso il principe e notò che la sua espressione era insieme assente e preoccupata.

Stava chiudendo i sacchi nel carro, poi legò le redini ad una delle quattro colonne che sorreggevano il baldacchino, depose il mantello e la corona e batté tre volte le mani.

Come per incanto scomparvero il carro e il principe.

Kim si trovò per terra ai bordi di una fontana gracidante di rane. 

All’orizzonte un chiarore sempre più intenso annunciava l’apparire della luna ed illuminava la piazza di una città fantasma.

Ad un lato della piazza un venditore preparava il suo banchetto.

Come somiglia al principe, pensò Kim.

Agile, alto e snello come lui, aveva gli stessi tratti del volto ma diversa era l’espressione degli occhi e poi costui era completamente nudo.

Sembrava non fare caso alla sua nudità, sistemava la sua merce sul banco e sorrideva.

Kim gli si avvicinò e fu sorpreso nel vedere la strana mercanzia.

Vendeva numeri.

C’erano degli otto bellissimi in verde e rosso, dei quattro levigati in legno lucido, dei tre in amaranto, degli zeri splendenti che rimbalzavano e si toccavano tra loro.




-A cosa servono questi numeri?- chiese il bambino e si sentì molto stupido mentre formulava la domanda, perché lui sapeva benissimo a cosa servivano i numeri, a fare i conticini con i più, i meno e i per.

Intanto il giovane metteva tutti i numeri in colonna e sorridendo rispose:
-Servono per tutto quello che vuoi- e prendendo un numero otto se lo pose in testa e ne fece uno splendido cappello dalle ampie falde.

-Questa poi non la sapevo proprio- fece Kim

-Ah no?- rispose il giovanotto mentre infilava la gamba destra e poi la sinistra in un numero tre che gli stava proprio a pennello.

Con i corti pantaloncini a sbuffo e il grande cappello, aveva più l’aria di un prestigiatore che di un venditore ambulante.

Cominciò infatti a giocare con tre zeri, gettandoli per aria, prendendoli al volo e rilanciandoli, proprio come fanno i giocolieri.

Poi prese il numero uno nella sinistra, lanciò in aria una manciata di sei e di nove e li infilò tutti nel numero uno.

-Bravissimo!!!- e Kim batté le mani con entusiasmo.

La luna saliva sempre più alta nel cielo, quando nell’aria si sparsero alcune note, dapprima stentate poi sempre più chiare.

Kim riconobbe alcune note di una canzone che cantava la mamma e gli venne un po’ di tristezza.

Ma un nuovo personaggio, entrato in scena di corsa, lo attrasse totalmente. 

Era un ometto piccolo che saltava, girando in tondo.

Aveva una casacca multicolore a strisce bianche rosse verdi e blu con maniche a sbuffo e un enorme collo a forma di fiore con grandi corolle gialle, un gonfio turbante pieno d’aria, una calzamaglia gialla.

Una buffa barbetta a punta, ispida e rossa facevano di lui il più buffo e strampalato individuo mai visto da Kim.

Correva in tondo ansante e vomitava una quantità di parole senza senso che, uscendo dalla bocca, rotolavano e rimbalzavano e lo colpivano sulle gambe e sui piedi, per cui era costretto a saltellare, quasi la terra bruciasse sotto di lui.

Man mano che il tempo passava, una quantità sempre crescente di gente faceva capannello intorno a lui e come lui saltellavano in tondo e recitavano nenie, cantilene, filastrocche che non avevano nessun significato.

“…due piedi su tre piedi
sta rosicchiando un piede,
arriva un quattro piedi
per portar via il piede,
allora il due piedi
afferra un tre piedi,
lo scaglia al quattro piedi
e gli fracassa un piede…”

Andrò ad insegnare loro qualcosa, si disse Kim, non ha senso che delle persone grandi parlino così a vanvera.

Si alzò dal bordo della fontana ed avvicinatosi a quattro ragazzoni che saltellavano tenendosi per meno, disse loro:

“Trotta trotta Pierballotta”

E gli altri in coro:

un formaggio e una ricotta,
un formaggio e un formaggino,
trotta trotta cavallino!

Risero tutti in coro, contenti e soddisfatti di aver fatto finalmente un discorso coordinato.

E intanto le parole, rotolando una dietro l’altra, avevano formato una specie di valanga che, rumoreggiando paurosamente ed ingrossandosi a vista d’occhio, prendeva la via della valle sottostante.

Il fragore aumentò ed aumentò mentre l’eco dall’alto della montagna sembrava dicesse: “Aa! Cc! Hh! Ttt! Uu! Nn! Gg!”, mentre la luna ormai alta nel cielo illuminava una scena apocalittica.

Al bambino cominciarono a tremare le gambe, il coraggio gli scomparve del tutto e non riuscì neanche a scappare come facevano tutti gli altri. 

Rimase impietrito nel centro della piazza completamente solo mentre anche la luna si eclissava dietro una grossa nuvola.

Stava per piangere disperato quando da un sommesso miagolio capì che almeno il gatto non lo aveva abbandonato.

-Tu mi abbandoni sempre nel momento del bisogno- disse.

-Direi che è esattamente il contrario- rispose il gatto- lo sai che a me la confusione non piace e me ne tengo in disparte.-

-E ora?- fece Kim

-Aspetteremo che venga giorno, alla luce del sole tutto sarà più chiaro-.

La notte però era lunga e fredda.

Intorno c’era un silenzio assoluto e il buio sembrava una coperta nera che avviluppava il mondo ma non lo riparava dal freddo.

Kim aveva dei brividi, cominciò a starnutire ed a tossire e ad ogni starnuto rispondeva il rumore di uno strappo.

-Chi rompe il silenzio?- si udì forte e chiara una voce.

Prima che il bimbo potesse porgere le sue scuse, un’ombra appena distinguibile si avvicinò a Kim.

-Cosa fai qui?- disse imperiosa.

-Chi è lei?- rispose con voce flebile il bambino.

-Impudente!!! Come osi rispondere a una domanda con un’altra domanda?-

E così dicendo, legò a Kim le mani e i piedi, sollevandolo da terra.

-Il mio gatto…- osò tremebondo.

-Il tuo gatto vede anche di notte e non può perciò combinare disastri: lui è libero. Tu invece sei un inetto, un debole, un presuntuoso, un maleducato, un ignorante e un capriccioso.
Sei un bambino piccolo e tanto basta. Questi sono i tuoi capi d’accusa!-
          
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4. Kim fa amicizia con un fiore e conosce le dame della regina. Guardarsi dal re!

Erano arrivati nel frattempo in un lungo viale con delle case altissime e con delle porte di ferro ermeticamente chiuse.

L’ombra, che altri non era, che un gendarme vestito di nero, accese per un secondo una lampada, sollevò il battente di un grande portone e lo colpì tre volte.

I colpi sembravano tuoni e a Kim si raggelò il sangue.

Una vera prigione apparve ai suoi occhi e ben presto fu rinchiuso in una cella fiocamente illuminata.

Un banco che somigliava a quelli usate nella scuola e uno sgabello erano l’unico arredamento ma, aguzzando la vista notò in un angolo qualcosa di strano.

Si avvicinò guardingo, pronto oramai a qualunque sorpresa e, con sua grande meraviglia, vide una pianta di tulipani con uno splendido fiore rosso ancora in boccio.



Non aveva mai considerato un fiore un amico o un compagno; gli si sedette vicino e lo guardò bene.

Era proprio vivo, i petali serrati gli uni agli altri, simmetricamente disposti, appoggiavano su un esile gambo verde chiaro, quasi bianco, reso più forte da foglie grandi e robuste che gli facevano da corazza.

Si rincantucciò confortato in un angolo, si accoccolò appoggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle palme delle mani, sollevò la testa verso l’alto e chiuse gli occhi.

Scomparvero dietro le palpebre il buio e la notte, il tulipano dischiuse lentamente una corolla e comunicò al bambino tutto quanto era necessario per mettere in fuga la paura, mentre delle figure apparvero nei suoi pensieri.

Una figura bionda, dolce e forte sfilò sorridente in groppa a un leone fiammeggiante; di tanto in tanto sfiorava la criniera della belva che, ammansita, ruggiva di piacere.

Dietro a lei un’altra bionda figura forse ancora più bella ed eterea procedeva senza toccare il pavimento.

Arrivata di fronte a Kim si fermò, aveva in mano un’anfora risplendente, la sollevò sorridendo e gliene versò il contenuto sulla testa.

La terza figura, bionda anch’essa ma meno leggiadra e giovane, passò impugnando una spada fiammeggiante, con lo sguardo fisso davanti a sé. 

Quando gli fu vicina, volse la testa ma non lo guardò, protese il braccio, gli offrì un melograno e sparì.

Kim aprì gli occhi e gli parve di aver compreso quali prove erano richieste per poter uscire da quella situazione.

Le tre donne erano le dame di compagnia della regina e sicuramente, se lo avessero ritenuto degno, lo avrebbero accompagnato nel castello.

Guardò il suo amico tulipano e rabbrividì da quanto seppe.

Nel grande palazzo viveva una regina di straordinaria bellezza ed impossibile era descriverne l’aspetto.

Chiunque, senza averne l’autorizzazione, avesse tentato soltanto guardarla, sarebbe stato trasformato in ghiaccio.

Molti avevano tentato di scalare di nascosto le alte mura del castello, di essi alcuni erano stati scoperti e decapitati, altri erano riusciti ad arrivare al cospetto della regina ed ora alimentavano, sciogliendosi ai raggi del sole, i laghi, i ruscelli e le fontane del castello.

A custodia della reggia c’era un grande Re.

Il suo aspetto variava a secondo dell’ora e del luogo in cui si trovava. C’era chi lo aveva visto alto due metri con una lunga barba nera, armato di spada e di scettro rilucente in una corazza d’argento e con un elmo d’oro in testa.

Altri avevano avuto di lui l’immagine di un vecchio bianco di barba e lunghi capelli, dall’ampio mantello di velluto rosso e con un diadema tempestato di pietre preziose.

A tutti si era gelata la voce e poi la vista.

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5. Di come un melograno dispettoso e un grosso avvoltoio sembrano tramare contro Kim, ma poi si dimostrano utili. Bisogna avere gli occhiali da sole per non rimanere abbagliati dalle stelle.

-Ho sete- urlò Kim -tanta sete, datemi da bere…-

Aspettò inutilmente una risposta

Prese allora il melograno e lo gettò violentemente sul pavimento, per rompere la dura scorza.

Dai suoi chicchi sugosi avrebbe trovato un po’ di ristoro.

Il melograno si spaccò, i chicchi si dispersero saltellanti qua e là ai suoi piedi e, nel volgere di un attimo si sciolsero e, scorrendo in rossi rigagnoli sottili, formarono per terra delle parole in lettere maiuscole.

Kim tentò di ricordare, conosceva le lettere, forse avrebbe potuto leggere le frasi piano piano, ma il liquido coaugulandosi confondeva le parole e rendeva molto difficile il compito.

Riuscì comunque a decifrare delle parole difficilissime….picchio, specchio, scuola, squadra… poi tanti numeri che cambiavano e si confondevano e dei segmenti di retta che, incrociandosi e sovrapponendosi e fondendosi, tracciavano dei più, dei meno, dei per.

Povero Kim, era veramente confuso e frastornato.

Poi tutto si raggrumò e i chicchi, ritornarono chicchi.

Li raccolse tutti e cominciò il suo compito.

Sarebbe mai riuscito e ricomporre il melograno?

L’impresa era veramente ardua e, via via che il tempo passava e i tentativi fallivano, a Kim ritornava la paura.

Il melograno era il suo lasciapassare e lui lo aveva stupidamente sprecato.

Avevano avuto ragione a chiuderlo in prigione, pensava, non ne sarebbe uscito mai più, non ci sarebbe stata nessuna festa al castello, sicuramente lo avrebbero decapitato, anzi lo avrebbero tagliato a pezzettini.

Sentiva di odiare il re fin dal profondo del cuore.

Che bello essere grande e forte, avere una spada più grande e uccidere il re cattivo che, sicuramente teneva prigioniera la regina, rompere le mura della prigione con una bomba, distruggere tutti e abbattere ogni cosa.

Non sapeva se era più grande la sua rabbia o la sua disperazione.

Si era alzato in piedi e camminava su e giù per la celletta, quando, contro le sbarre della finestrella, si sentì un battere d’ali fortissimo.

Kim alzò gli occhi pieno di terrore.

-Ecco…- si disse -… è la fine-

Un grosso avvoltoio tentava di entrare nella scura prigione ma, per fortuna la sua mole non glielo permetteva.

Le grandi ali agitandosi avevano sollevato un vento quasi di bufera e il bambino cercò un appiglio a cui aggrapparsi per non essere sollevato e sbatacchiato come un fuscello.

A tentoni passava le mani sul muro in cerca di salvezza e, trovata la grossa maniglia della porta, ci si aggrappò con tutte le sue forze.

Non si può dire quanto sia durata la tempesta, a Kim sembrò un secolo.

Poi l’avvoltoio, stanco, finalmente si allontanò, il vento si placò e il bambino si accorse che l’inferriata della finestra era stata divelta, un pezzo di muro sbrecciato, e fuori un cielo buio ma spruzzato di stelle lo invitava ad uscire.

Appoggiò il banco al muro, lo sgabello sul banco e si arrampicò con fatica.

Si voltò circospetto a dare un’ultima occhiata alla cella e vide nell’angolo il tulipano che aveva aperto i petali e illuminava col suo colore il pavimento intorno.

Il melograno era scomparso, il vento sicuramente aveva disperso i chicchi.
Bene, pensò Kim, nasceranno così dei nuovi melograni un giorno; qui i chicchi non avrebbero mai incontrato una terra fertile.

Da grande avrò un giardino di melograni.

Ritornò indietro con fatica, raccolse il fiore e, per la prima volta si sentì veramente felice.

Uscì dalla prigione con facilità.

Fuori era calma e silenzio, solo un lieve fruscio e un tocco morbido sulle gambe lo informò che il gatto era lì ad aspettarlo.

-Bravo- disse il gatto -hai fatto un bel passo avanti, uscendo dalla finestra-

Erano al centro della piazza, al lume delle stelle vide un monumento e una scritta “Largo Augusto”.

Il castello non poteva essere lontano.

Si incamminò lesto, preceduto dal gatto, lungo un viale deserto.

Camminarono a lungo fino a quando il sole, spuntando timido da dietro un monte, mandò delle frecce di luce a colpire le mura di un grande castello.

Kim si fermò di colpo, stava accadendo qualcosa di straordinario.

Le stelle sembravano impazzite, correvano nel cielo disordinatamente, cercando di superarsi l’una con l’altra e provocando degli ingorghi lungo la via Lattea.

Poi finalmente trovarono posto sull’Orsa Maggiore e, mentre l’ultima stella dell’Orsa Minore faceva strada, si incamminarono veloci verso il castello.

Via via che si avvicinavano il bagliore aumentava; ormai era impossibile guardare ad occhi nudi.

Kim non aveva occhiali da sole per cui dovette chiudere gli occhi e coprirli con le mani.



Tentò più volte di spiare tra le fessure delle dita e non si accorse che veniva sollevato da terra da due grandi mani.

Gli sembrò di vagare nell’aria a lungo, di volare lontano nel cielo, ormai senza stelle.

Aprì gli occhi e vide solo il buio.

Questa volta la paura fu più grande di lui e scoppiò in un pianto dirotto.

Il rumore del suo pianto ruppe l’incantesimo.

Aprì gli occhi ancora una volta e …meraviglia … si ritrovò nel suo lettino mentre la mamma accendeva la lampada sul comodino e gli diceva:

-Hai avuto un incubo, tesoro, sei stanco, dormi sereno e fa dei bei sogni, io sono qui accanto a te-.

Il gatto acciambellato ai piedi del letto, lo guardò sornione e gli fece l’occhiolino.

Una grande slitta passò scivolando sulla neve, Kim e il gatto salirono e, avvolti in morbide coperte chiusero gli occhi e si addormentarono al tintinnio delle campanelle al collo delle renne.

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