Il Sacro e il profano

Il solo tempio veramente sacro è il mondo degli uomini uniti dall’amore
(Lev Tolstoj)

Parlare del rapporto tra il sacro e il profano è parlare della vita, la commedia della vita, l’esperienza di stare al mondo con quello che di buono, di meno buono e di cattivo l’uomo ha scelto, fatto, subito.
Fin dalle sue origini l’uomo ha dovuto sottomettersi alle forze della natura, della quale ha paura e nel contempo è attratto, come si può essere attratti da ciò da cui ha origine nonostante ne percepisca l’ambiguità e il pericolo. Tutto ciò che non si capisce ma se ne è condizionati acquista automaticamente dimensioni soprannaturali di cui aver paura e alle quali si deve rispetto; nel tempo si chiamerà sacro e si contrapporrà a tutto ciò che è quotidiano e reale.
E’ comprensibile la necessità di dare al sacro un volto, un’immagine alla quale rivolgersi, creare un luogo dove fare offerte propiziatorie. Si costruisce allora il tempio, fanum, dedicato a colui che splende: Dio. Tutto ciò che è fuori dal luogo sacro è pro-fanum, in relazione con il sacro ma distinto e rispettoso dei confini santi interdetti. Il profanum non avrebbe avuto senso senza il luogo del fanum, così come il fanum non avrebbe potuto esplicare la sua funzione se non fosse esistita la sfera del profanum. Ciò che definisce la loro complementarietà è il rito del sacrificio che attenua la loro opposizione. La vittima sacrificale, reale o simbolica, diventa nel tempo il simbolo del passaggio ad una vita superiore nella quale la vittima serve ad assicurare protezione a quelli che sono rimasti.
Come dice Durkheim, anche se è impossibile per il sacro mescolarsi al profano senza cessare di essere se stesso, in realtà l’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo di costruire un mondo che abbia nel suo significato qualcosa di sacro.
Per Mircea Eliade il sacro è “un elemento della struttura della coscienza, non della storia della coscienza”. 
“La natura è più antica dei tempi degli dei. La sacralità non è una proprietà dedotta da un dio che è lontano. Il sacro non è sacro perché divino, ma il divino è divino nel suo modo di essere sacro” scrive Heidegger.
C’è nell’uomo una sorta di predisposizione strutturale permanente a rapportarsi con un mondo altro che gli appartiene, che è dentro la propria struttura psicologica.
Freud e Jung hanno fatto ricorso anche ai simboli, ai miti e ai riti sacrificali delle antiche religioni, per studiare e cercare di conoscere i meandri della psiche.
Il sacro mysterium tremendum ci riporta all’Es, all’inconscio come sede di Eros e Thanatos, alle pulsioni che generano la vita e alle forze che la distruggono. L’Io che controlla l’inconscio può avvicinarsi a quella luce che aiuta a distinguere il bene dal male, il positivo dal negativo.
Già in Socrate la psiche è identificata con la coscienza; nel prendersi cura di sé egli sottolinea la cura dell’aspetto sacro della propria persona.
“Non è una raccomandazione astratta - scrive Michel Foucault - ma una rete di obblighi e servigi resi alla propria anima. I simboli dell’autocoscienza nati dall’esperienza di quei fenomeni fondanti la psiche, allorquando si espandono nella vita della società, dove il bene si contrappone al male e il giusto all’ingiusto, conducono verso il concetto di sacralità della vita”.
In ognuno di noi c’è, latente, il desiderio o forse il bisogno di superare le barriere del corpo fine a se stesso, di trasformarlo in un tempio privato: immaginare, costruire, creare, cercare in sé ciò che in esso c’è di divino.
Blanchot nella postfazione al libro di Karl Jaspers “Genio e Follia” descrive il sacro (Heilige) in Holderlin: il silenzio rigonfio di pericolo e di salvezza, il silenzio come luogo di confine, tramite di una verità inesprimibile a parole. La sua voce diviene pura trasparenza di una verità che, a dispetto della sua ragione, lo contiene e in essa - buco nero, fuoco che brucia e risucchia la luce - si perde senza possibilità di ritorno. E’ una lotta tra luce e ombre che si scambiano il ruolo.
Anche la vita del Caravaggio è fatta di “lampi nella più buia delle notti”.
Nelle sue opere sacro e profano si incontrano. È il pittore della solitudine, del perenne conflitto interiore tra forze contrastanti; l’unico artista, secondo Karl Kraus, “capace di fare della soluzione un enigma”. Nelle sue opere l’intreccio tra sacro e profano, tra luce e ombra, è la voce di un’inquietudine profonda e di una passione coinvolgente che crea ulteriore inquietudine in chi le guarda. La potenza visiva delle immagini è unica e l’avere usato una prostituta come modella per la Vergine o aver dipinto i santi con i piedi sporchi avvicina il sacro dei soggetti alla quotidianità della vita reale. Più di ogni altro il Caravaggio esprime il limite, e insieme il rapporto, tra sacro e profano.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine Maria
1604, Musée du Louvre, Parigi

Settecento anni fa un uomo descrisse l’avventura della sua vita, un viaggio nel regno dei morti conferitogli per grazia divina. Definì il suo poema “commedia” di disperazione e di speranza, come se fosse una favola, e proprio come una favola, il Poema Sacro appartiene a ogni tempo. In uno spazio tempo, non luogo, non tempo, nel mezzo del cammin di nostra vita, la vita cioè dell’umanità intera, è toccato a Dante trovarsi “in una selva oscura” il cui significato reale o simbolico, immanente o trascendente, travalica la sua storia di esiliato, condannato a morte in contumacia, privato di tutti gli affetti, per diventare l’umano tirocinio morale e conoscitivo per liberarsi dalla colpa. E’ stato interpretato anche come itinerario della cristianità per il riscatto nella giustizia, per altri è frutto di una visione estatica, romanzo allegorico o epopea didattica. Leggendo i suoi versi ciascuno può animarli di tutta la propria esperienza. La selva oscura che per Dante era un periodo travagliato e infelice nel degrado di Firenze, dell’Italia e del mondo, io la ritrovo oggi nel degrado della natura e delle coscienze. Ciò che leggiamo nel XVII canto del Paradiso “Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e ‘l salir per le altrui scale”, trova per me riscontro nelle tante vittime delle miserie, delle carestie, della violenza delle guerre fratricide di ogni tempo. La vita di ciascuno è un viaggio e Dante la attraversa tra smarrimenti e tremore, la percorre nella ricchezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti e riporta il corpo con i suoi bisogni e desideri, violenza e passione, verso il terreno della trascendenza. Sacro e profano, nella loro complessa appartenenza alla realtà dell’uomo, alla sua insostituibile esperienza di stare al mondo, trovano nei versi di Dante la propria tensione verso l’ineffabile e l’imponderabile.
Il concetto del sacro non può essere diverso, oggi come allora, da ciò che è umano. La sacralità non appartiene a Dio, il pensiero e l’azione dell’uomo non possono perdersi nell’astrazione di ciò che li circonda, profanando lo stesso mistero dell’esistenza nell’indifferenza di ogni sentimento, mirando al proprio benessere nell’assenza della legge, della regola e dell’ordine. E’ sacra la persona umana che rappresenta il bene da alimentare nella comunione con gli altri, e il male da affrontare e superare. Possono essere sacri anche i valori laici governati dall’etica ed è sacro il corpo come strumento per alimentare tali valori. Se ciascuno si sforzasse di raggiungere la consapevolezza di quanto in lui c’è di sacro, anche la società acquisterebbe un valore di sacralità. Il sacro, termine che se esteso a divinità maligne diventa esecrabile, appartiene a tutte le religioni ed è oggetto di studio delle teologie, della metafisica ma anche della letteratura, dell’arte, della musica. La prima forma di religione (che nel suo etimo religare unifica e non divide) nasce dal sentimento del trascendente associato alla consapevolezza del limite. Sofferenza, dolore, privazione, inadeguatezza a comprenderne il perché, spingono l’uomo a fare riferimento a qualcosa di trascendente, perdendosi spesso nell’astrazione da ciò che lo circonda e nell’indifferenza di chi gli sta accanto. E’ l’esperienza del sacro, che dà sicurezza, forza e innanzi tutto Amore, a condurre l’uomo al sentimento della appartenenza e della collettività. Solo allora la società potrebbe diventare il suo dio.

Bibliografia
Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa. Newton Compton Editori, Roma 1973
Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 1967
Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Ugo Mursia Editore, Milano 2014
Sigmund Freud, Totem e tabù, Bollati Boringhieri, Torino 1969
Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Longanesi, Milano 1980
Michel Foucault, Nascita della clinica, Biblioteca Einaudi, Torino 1998
Karl Kraus, Detti e contraddetti, Biblioteca Adelphi, Milano 1992
Karl Jaspers, Genio e follia Strindberg, Van Gogh, Swedenborg, Holderlin, Rusconi, Milano 1990
Rudolf Otto, Il sacro: l'irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli, Milano 1976

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