Il Numero e il Ritmo

« L’uomo nasce dall’Infinito e torna all’Infinito »
Anassimandro

Il Numero

In un convegno di Cinema e Psicoanalisi sul Numero, Stefano Beccastrini aveva ricordato la storia dello zero dalla sua prima apparizione, intorno all’800 d.C., sulla parete di un tempio a Gualiar in India.
Il primo incontro tra la numerazione indo araba e la cultura europea avvenne in Spagna verso la fine del IX secolo d.C. e ne resta testimonianza nel Codex Vigilianus conservato a Madrid. Un europeo copiò su carta i numeri arabi (prima indiani) ma saltò lo zero, probabilmente per la difficoltà metafisica e filosofica di accettare il “segno del nulla”.

The first Arabic numerals in a Western manuscript, AD 976. From Codex Vigilanus.
The text reads as follows:
Scire debemus in Indos subtilissimum ingenium habere. Et ceteras
gentes eis in arithmetica et geometrica. Et ceteris liberalibus
disciplinis concedere. Et hoc manifestum est in nobem
figuris quibus designant unumquemque gradum.
Cuiuslibet gradus quarum hec sunt forma.
987654321

Passarono più di due secoli prima che il pisano Leonardo Fibonacci, attraverso il suo libro in latino De Abaco facesse conoscere lo zero in Europa. Comunque dal XV al XIX secolo lo zero e l’infinito non furono bene accetti alla matematica occidentale. A tutti gli effetti oggi viene considerato un numero come gli altri ma fuori dalla matematica molti vedono ancora nello zero il segno del nulla.
Charles Seife nel suo libro Zero. The Biography of a Dangerous Idea (Viking, USA, 2000) scrive: «Nessun numero può causare altrettanto danno […] lo zero è diverso dagli altri numeri, consente di spingere lo sguardo sull’ineffabile e sull’infinito […] alla base di ogni rivolgimento si trova lo zero e, con lui, l’infinito» .

Con lo sviluppo della psicoanalisi, grazie a Jacques Lacan e alla sua scuola, lo zero divenne importante in quanto significazione del vuoto e del nulla, non come numero ma come significante di quell’abisso, nel quale nascendo l’essere umano si trova disorientato, ma dal quale deve prendere le mosse per cominciare a vivere, misurare, contare, distinguere. 
Per Freud il termine inconscio si riferiva a tutto ciò che era stato rimosso dalla coscienza secondo una concezione qualitativa; per Ignacio Matte Blanco1 nell’uomo si incontrano due modi d’essere: uno asimmetrico regolato dalla logica aristotelica di un pensiero cosciente, uno regolato da una logica simmetrica in cui passato e presente si confondono, dove spazio e tempo non ubbidiscono a nessuna delle leggi della fisica che noi conosciamo. E’ il mondo dell’inconscio inteso come insiemi infiniti. L’inconscio è una struttura della psiche ed è caratterizzato da diverse proprietà di cui le più importanti, secondo il principio di non contraddizione, sono l’assenza dello spazio e del tempo. Se pensiamo l’inconscio come insiemi infiniti potremo capire meglio l’intuizione freudiana secondo la quale nell’inconscio non esiste il “no”, in quanto le funzioni dell’inconscio passano da un massimo a un minimo, entrambi di valore infinito. Ne La Negazione (in Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti: 1924-1929, Bollati Boringhieri, Torino 2000), Freud afferma che l’inconscio non è il negativo del conscio, non sono uno il rovescio dell’altro, non si può quindi operare sull’uno sperando di operare sull’altro. Lacan spiegherà meglio il concetto affermando che la negazione primordiale (il “no” di Freud) significa o rappresenta un’assenza originaria, un’elisione interna del significante, un posto vuoto da cui emerge il soggetto.
A livello dell’inconscio lo zero quindi non esisterebbe.
Ritornando a Matte Blanco, nella psiche umana si presenteranno sempre dei compromessi tra queste due logiche, per cui alla concezione tripartita di stampo freudiano, egli propone una visione dell’uomo come risultante dei due modi d’essere, simmetrico e asimmetrico. Il fenomeno emozionale, ad esempio, è un compromesso tra logica simmetrica e asimmetrica: come sensazione o sentimento, a livello fisico, è asimmetrico; a livello inconscio, passibile di infinite misurazioni, è simmetrico.
La teoria freudiana della illogicità dell’inconscio viene ricondotta da Matte Blanco a un sistema coerente di funzionamento grazie agli strumenti della matematica.
Attraverso la formulazione di tali principi individua nell’essere umano due modi d’essere simultanei, uno dividente e assimilabile al pensiero che opera sulla differenza, l’altro indivisibile come l’emozione che tende all’indifferenziazione.
Grazie al simbolo, alla relazione cioè tra un numero, un segno e un’immagine che lo trascende, possiamo anche rendere possibile la comprensione di infinito e di zero.

Sulla dimostrazione per cui un numero elevato a zero dà sempre 1, leggo tra gli studi di mio figlio Marco interessanti appunti in cui la matematica, con la purezza dell’arte e quella dei bambini, offre ulteriori spunti sui concetti di zero ed infinito. 

1. 
All’inizio, l’elevamento a potenza aveva senso solo per quantità positive: moltiplicare l’incognita x per se stessa zero volte era un’operazione senza senso, tanto che si sarebbe potuto pensare di non definirla. Tuttavia, una delle proprietà delle potenze è che:

x^a * x^b = x^a+b

Quindi quella che per x^a e x^b è una legge moltiplicativa, per gli esponenti a e b è una legge additiva. È possibile pertanto far corrispondere i rispettivi elementi neutri:

x^a * x^0 = x^a+0

Quindi x^0 è elemento neutro per la moltiplicazione, cioè 1.

Per semplificare ulteriormente:

(3*3*3*3*3) / (3*3*3) = 3*3

Potrebbe essere scritto così:

3^5 / 3^3 = 3^(5‐3) = 3^2

Si deduce quindi che gli esponenti dei numeri con la stessa base vengano sottratti.

Ecco un nuovo esempio:

(3*3*3) / (3*3*3) = 27 / 27 = 1

Quindi:

3^3 / 3^3 = 3^(3‐3) = 3^0 = 1

Quindi ogni numero intero e positivo elevato a zero darà sempre 1.

2.
Papa Bonifacio VIII all'inizio del 1300 inviò per tutta la penisola dei suoi emissari alla ricerca di un maestro d'arte per il suo ritratto. Giotto di Bondone a quel tempo era noto per l’affresco Storie del vecchio e nuovo testamento realizzato nella basilica di S. Francesco di Assisi e il Crocefisso di Santa Maria Novella a Firenze.
Si racconta che Giotto non avesse una grande dialettica. Durante l’incontro con il fiduciario del papa, per dar prova delle proprie abilità, si limitò a disegnare un cerchio su una tela. Quell'opera, così semplice e perfetta, bastò a Bonifacio VIII per comprendere le qualità dell’artista.

Se individuassimo il numero zero in quel cerchio, quale metafora della circolarità del tempo, di un inizio e di una fine, se questa via di mezzo tra positivo e negativo rappresentasse la massima espressione di equilibrio, esso sarebbe quanto di più vicino al concetto di perfezione. Quindi, se vedessimo nello zero l'atto creativo, potremmo capire come tutto l'universo elevato a zero debba essere sempre ricondotto ad una unità, mentre lo zero elevato a zero non potrebbe avere significato, come l'ignoto.

3.
C'è una storia su alcuni bambini che amavamo giocare con i numeri.
La maestra aveva insegnato loro le quattro operazioni principali con caramelle che venivano di volta in volta date, tolte, moltiplicate e divise tra di loro. Poi arrivò il giorno dello zero.
«Tre diviso zero quanto fa?»
Le risposte dei bambini furono tante, fino a quando la maestra spiegò che la risposta era nella prova:
«Quale numero moltiplicato per zero farà tre? Nessuno!»
«E quale numero moltiplicato per zero farà zero? Tutti!»
Fu così che i bambini impararono il limite tra il nulla e l'infinito.


Il Ritmo

Ciò che ci definisce per eccellenza è il nostro corpo nel cui interno tutto si muove e si aggrega secondo un ritmo che si costituisce durante lo sviluppo.
L‘essere umano ha vissuto nel grembo materno in un agglomerato indistinto di sensazioni tattili‐uditive fatte di liquidità e di movimento, di rumore e vocalità. Il suono della voce materna, alternato al suo silenzio, ha offerto al piccolo una proto esperienza di presenza‐assenza, ma solo dopo la nascita, quando con il primo grido ha inizio la respirazione, la sequenza spazio temporale cambia radicalmente.
Il passaggio doloroso dal mondo intrauterino a quello extra uterino ha prodotto una inevitabile mutazione sia nell’interno che all’esterno del suo corpo. Tra questi due ambienti, il mondo interno e il mondo esterno, l’organismo dovrà necessariamente incontrare nuovi ritmi, acquisendo gradualmente il senso dello spazio e del tempo.
In un’alternanza tra materia, rumori e suono, il piccolo essere inizierà a produrre immagini partendo dalle forme gestuali e sonore; dal ritmo biologico si svilupperà il pensiero mentale, già forma espressiva di un fantasma originario, mentre dall’evoluzione percettiva dello spazio e del tempo, il linguaggio interiore confuso ed informe si trasformerà progressivamente nella capacità di elaborare un processo simbolico che è alla base della creatività. Il fantasma pensato cerca il proprio spazio dove esistere; dall’incontro con l’altro è costretto ad accettare la separazione, resa meno dolorosa dalla comprensione del ritmo: (presenza‐assenza‐presenza).
Secondo Max Jammer2, «lo spazio legato al mondo emotivo è un abisso primitivo, un’atmosfera primordiale, un’entità indefinita che contiene tutta la materia.»
Se dopo la nascita l’organismo umano non avesse possibilità di acquisire il suo ritmo, il tempo bloccato dall’interruzione del ritmo impedirebbe di vivere lo spazio e il luogo dove esistere. Il fluire del tempo è indispensabile per organizzare anche lo spazio del corpo e del territorio dove stare con l’altro3.
La mente è in grado di avere chiari i caratteri di una realtà specifica attraverso la concettualizzazione di elementi astratti, grazie al procedimento di aggregazione dei loro caratteri essenziali e costanti.
Il concetto di numero nasce dalla necessità di misurare il trascorrere del tempo, di contare le cose e le persone, spinto dal bisogno di definirsi in quell’insieme di materia, spazio e tempo in cui è stato precipitato nascendo.
Fin in dalla primissima infanzia, dalla con‐fusione con la madre emerge gradualmente la percezione d’altro da sé: il seno che lo nutre, la sua presenza e assenza, il suono della voce e il silenzio, il contatto con la sua pelle, il suo corpo, il suo odore.
Fenomeni apparentemente banali che nel succedersi, secondo certi intervalli di tempo, avviano e stimolano lo sviluppo di un organismo.
La frequenza, ad esempio, con cui le varie fasi del fenomeno sonoro si succedono, percepito dall’orecchio dà il senso del ritmo, così come, a livello visivo, qualsiasi sequenza strutturata forma un ritmo che l’occhio umano è in grado di percepire anche senza rendersene conto.
Come nella musica, il ritmo si ottiene ponendo in successione un suono con una pausa più o meno breve o con un altro tipo di suono, il ritmo in campo visivo è l’alternanza tra l’elemento visivo e lo spazio vuoto, il ripetersi di un elemento visivo crea una sequenza di forme piene e vuote, luci e ombre, linee e colori che l’occhio percepisce in collegamento.
Il bambino fa esperienza attraverso i sensi.
Nel 1943 Leo Kanner4 descrisse alcuni comportamenti anomali in bambini con una iper/ipo sensorialità a livello acustico e visivo per una difficoltà di modulazione delle emozioni.
L’emozione, sappiamo bene, è uno stato psichico affettivo e momentaneo che consiste nella reazione dell’organismo a una percezione che turba l’equilibrio.
Proviamo a pensare a cosa potrebbe provocare in un infante con una iper/ipo sensorialità, l’assenza prolungata del contatto, il rumore violento o una luce abbagliante. Non riuscendo a reagire all’emotività, è costretto a creare una corazza difensiva sua propria, una autosensorialità, per tenere a bada l’ansia persecutoria o l’angoscia della separazione da una madre non ancora ben differenziata dal sé.
L’auto sensorialità si esprime attraverso la costituzione di un oggetto autistico, un feticcio che diventa indispensabile per la sopravvivenza, un irrigidimento difensivo del corpo e la chiusura in se stesso.
Non differenziato dal mondo esterno, il bambino autistico si crea un territorio bidimensionale in cui si relaziona narcisisticamente con se stesso. Può utilizzare la sua sensorialità, in particolare il tatto, per eliminare la sensazione del non-me mantenendo la sensazione di continuità, immutabilità, circolarità spazio‐temporale (un esempio può essere dato dal bambino che disegnava racchiudendo le figure in un cerchio e scriveva senza dividere le parole, i suoi occhi non guardavano ma attraversavano l’altro come fosse di vetro).
Proprio partendo dal ritmo che ci accompagna fin dalla nascita, il battito del cuore, nasce la possibilità di portarlo fuori dalla prigione dell’autosensorialità per aprirsi al mondo.
Il ritmo può diventare strumento di comunicazione non verbale, suono, musica, melodia, armonia, che agendo sugli stati più profondi della sfera emozionale è terapia.
L’intera vita umana ha bisogno di ritmo e di armonia, scriveva Protagora, e aggiungeva che i giovani divenuti euritmici e armoniosi sono valenti nel parlare e nell’agire.
In ogni tempo, a cominciare dalla ninna‐nanna, la musica ha aiutato a crescere, nutrendo la mente e lo spirito, sviluppando le potenzialità espressive e creative.

Franca Maisetti

1 Ignacio Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti: saggio sulla bi‐logica, a cura di Pietro Bria, Torino, Einaudi, 1981
2 Max Jammer, Storia del concetto di spazio, con una premessa di Albert Einstein, Milano, Feltrinelli, 1963
3 Aa, Abitare l’Assenza, Franco Angeli 2016
4 Leo Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, 1943




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