TEMPO DI UCCIDERE - PARTE SECONDA - LE MASCHERE CADUTE

Durante i saturnalia, da cui trae origine il carnevale, il povero poteva trasformarsi in ricco e viceversa. La maschera era un simbolo per rinnovarsi, per cambiare pelle, un rito purificante per poi tornare all'ordine naturale delle cose.

E' tutto finito. Uscire dal gruppo è doloroso ma necessario.
Facebook sa riconoscere la capacità del nuovo collaboratore di talento e lo distingue da chi avvia spesso conversazioni o da chi crea contenuti visivi interessanti. Ruoli che diventano gradi conquistati sul campo, difficili da abbandonare anche a guerra finita.
Ai social networks conviene consolidare i gruppi, piccoli ecosistemi popolati da persone accomunate da fattori in comune. I gruppi diventano massa, bacini di utenza identificabili ai quali proporre e vendere, più facilmente, prodotti e servizi.
Facebook è ancora oggi un ottimo strumento per veicolare messaggi e gestirne la visualizzazione.
I suoi algoritmi privilegiano post con maggiori interazioni: l'obiettivo è vendere spazi pubblicitari, quindi la quantità ha sempre la meglio sulla qualità. In fondo è lo stesso criterio adottato dal Festival di Sanremo per la scelta di concorrenti e contenuti.

Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni
William Shakespeare

Nel corso della storia la maschera ha assunto significati diversi e diverse funzioni a seconda delle diverse culture.
L'uomo primitivo si travestiva con pelli e altri oggetti per imitare gli animali da cacciare o per spaventare il nemico.
Nei riti delle popolazioni arcaiche si invitavano gli spiriti dei defunti alle cerimonie.
Chi indossava la maschera perdeva la propria identità ed assumeva quello dello spirito.
Invitato alle danze e al divertimento, allo spirito venivano richiesti raccolti abbondanti e altri benefici.
L’utilizzo della maschera a scopi ludici è attestato nel teatro greco nel V secolo a.C..
Il teatro si diffuse immediatamente nell'Italia del sud, introdotto dagli immigrati greci che grazie ai porti lasciati aperti avevano potuto raggiungere gli altri connazionali sbarcati in Italia nei secoli precedenti.
Grazie a loro si costruirono molti teatri; alcuni, come quello di Siracusa, ancora oggi in funzione.
Quando il bellicoso e rozzo popolo romano conquistò la Grecia, fu a sua volta conquistato dalla loro antica cultura. Usi e costumi si insinuarono nel popolo romano che li adottò, mascherandoli con nomi diversi.
Fu così, per Giove e non per Zeus, che nacque il teatro latino di Livio Andronico, le commedie di Tito Maccio Plauto e la comicità per il volgo, i cantica plautini.
Erano spettacoli attesi dalla folla. Richiamavano grandi affluenze ed erano molto apprezzati.
Oggi potremmo dire che garantivano uno share altissimo, proprio come Sanremo.
Trama e personaggi erano ripetitivi. Il teatro greco riservava un numero limitato di parti, ciascuna identificata da una maschera, il teatro latino invece non usava maschere.
Aveva un termine curioso per indicare la parola maschera: persona.
L'attore impersonava figure stereotipate come il giovane innamorato senza sesterzi o il vecchio avaro. Il furbo servo era il vero protagonista della storia. Con un costume con la pancia imbottita e il grande fallo di cuoio che sbucava fuori dalla tunica, era abile nell'arte dell’arrangiarsi e nell'architettare beffe. Riusciva sempre a trionfare su personaggi più potenti, godendosi la vita.

Come il poeta di fronte al foglio bianco cerca ciò che non esiste in nessun luogo eppure lo trova, trasformando la finzione in verità, così io stesso diventerò poeta, e quei soldi che non esistono in nessun luogo al mondo li farò saltare fuori.
Tito Maccio Plauto, Pseudolus, 191 a.C.

Pseudolus (il bugiardo) è il servo che si rivela maschera dell’autore stesso.
In greco hypocrités significa attore. L'ipocrisia è la maschera dell'attore, la sua capacità di nascondere e di fingere, confondendo vero e falso.

LUPUS EST HOMO HOMINI   
Plauto, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495

Secondo il mito dell'epoca romana le divinità degli inferi emergevano dal sottosuolo durante l'inverno e vagavano per la terra gelida e incolta. Queste divinità dovevano essere placate con feste e regali in loro onore in modo che tornassero benevoli negli inferi e che dal sottosuolo proteggessero i semi piantati per il nuovo raccolto. La festa a Saturno, Dio degli Inferi avveniva dal 17 al 23 dicembre e per tutto quel periodo scuole e tribunali erano chiusi. Era vietato iniziare o partecipare a guerre, stabilire pene capitali, portare lutti. Non c'erano servi né schiavi e tra loro veniva eletto tra un Principe delle Feste, un antesignano Babbo Natale vestito di rosso, colore simbolo della ricchezza e del potere. La festa terminava al solstizio d'inverno, alla morte dell'oscurità e alla vigilia di una nuova natalità solare (Dies Natalis Solis Invicti).
Un ritorno simbolico all'età dell'Oro, al tempo in cui gli uomini convivevano tra loro senza bisogno di leggi, senza odio né guerre, senza la necessità di costruire case per proteggersi. La terra non aveva bisogno di essere coltivata perché era sempre primavera, le piante crescevano spontaneamente.

Prima una stirpe aurea di uomini mortali
fecero gli immortali che hanno le Olimpie dimore.
Erano ai tempi di Kronos, quand'egli regnava nel cielo;
come dèi vivevano, senza affanni nel cuore,
lungi e al riparo da pene e miseria, né triste
vecchiaia arrivava, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,
nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;
morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni
c'era per loro; il suo frutto dava la fertile terra
senza lavoro, ricco ed abbondante, e loro, contenti,
in pace, si spartivano i frutti del loro lavoro in mezzo a beni infiniti,
ricchi d'armenti, cari agli dèi beati.
Esiodo, Le opere e i giorni, VIII secolo a.C.

Che fossero stati gli uomini ad aver creato gli Dei e non viceversa è sostenuto anche da Plutarco nei Dialoghi Delfici del I secolo d.C.. Non veniva tuttavia negata una divina potenza cosmica. Questa veniva avvertita dall'uomo, poi rappresentata, inquinata da proiezioni e desideri, e infine deturpata da un'umana specie, descritta in ciclica decadenza come nelle cinque età dell'uomo.
Con l'avvento del Cristianesimo la Chiesa vietò queste feste.
Rimase lo spirito religioso, mentre l'aspetto giocoso fu rimandato e diede origine all'odierno carnevale.

Il tempo scorre, le maschere restano.
Cambiano i proprietari, che ne possono mutare la forma ma non la sostanza.
Nel Teatro del Cinquecento la Commedia dell'Arte crea nuovi servitori: Arlecchino, Pulcinella, Colombina, Brighella. Seguiranno Pantalone e Ballanzone, Meneghino, Gioppino e Rugantino, ognuna capace di rappresentare vizi e virtù di ciascun territorio.

Le cose esterne penetrano all’interno, e la maschera, a lungo andare, diventa il volto.
Marguerite Yourcenar

Il 2020 doveva essere per i cinesi l'anno del Topo.
Purtroppo è diventato per tutti l'anno della maschera.
Nel cinema quella del Joker è valsa l'Oscar alla migliore interpretazione maschile; mentre la maschera sociale di un'intera famiglia fa vincere l'Oscar a Parasite come miglior film.
In televisione avevano già avuto successo le maschere dei protagonisti della La Casa di Carta.

Il calciatore Neymar, tra gli interpreti della prossima stagione de La Casa di Carta  

Nei social networks la maschera è un troll, abile a veicolare fake news, a fuorviare l'opinione pubblica e addirittura in grado di incidere sulle sorti politiche di una nazione.
I social network sono anche maschera virtuale di profili reali, gente comune che si trasforma in leone da tastiera.
In Italia, Sanremo 2020 è affidata al conduttore dei Soliti Ignoti, personaggi a cui va tolta la maschera dell'ignoto per identificarne un ruolo. In questo teatrino sfilano per la prima volta i “cantanti” individuati da Amadeus per Sanremo, tutti mascherati da “BIG”. Quello con la maschera vera da origine alle polemiche necessarie allo spettacolo. Molte persone con la maschera da giustiziere subito lanciano strali contro il Male Mascherato, interpretando (per l'appunto, male) le parole del testo di una canzone. Una canzone forse brutta e anche volgare, ma che reinserita nel contesto dell'album da cui era estrapolata, assumeva ben altro significato. Ciò nonostante il pensiero deviato di schiere di giustizieri si insinua nell'opinione pubblica. La maschera del cantante viene identificata con lo stesso cantante, finalmente popolare suo malgrado. Il presidente Rai dichiara inaccettabile la sua presenza, consiglieri politici in cerca di visibilità sporgono denuncia ai carabinieri, critici musicali in cerca di visualizzazioni e condivisioni si mascherano (nella migliore delle ipotesi) da dilettanti incapaci di distinguere il Male nell'opera dal male dell'opera.

Inusuale rivisitazione de La Recherche - Alla Ricerca del Tempo Perduto


La Cantante Gessica

Una vera e propria aggressione nei confronti di un giovane, perdonabile per chi nei testi rivive violenze subite ma ingiustificabile per chi la esercita, a sua volta mascherato da cantante, per promuovere se stesso o le proprie canzoni.
Nel contempo l'attenzione si sposta sulle maschere di un altro artista ultramoderno, un flashmobber della canzone.
Non è un cantante, meglio, irrilevanteche lo sia, secondario perfino che qualcuno ne ricordi i brani.
Indossa l'arte del costume, della commedia, della satira. Facendo cadere il costume da Nosferatu, resta in costumino nude look: un voluto riferimento all'atto della svestizione del San Francesco di Giotto che però ricorda il “Just a Sweet Transvestite” di The Rocky Horror Picture Show. Con il costumino Zero Pack ha la stessa verve comica di un original Borat e il suo sorriso è “bello bello da impazzire” come il Blue Steel di Derek Zoolander. Eppure il riferimento culturale sembra nobilitare il tutto. La sensazione di esagerazione che ricorda i vestiti “American Versaci” di una volta si attenua nella rivisitazione del costume d'epoca e nelle quattro opere d'arte firmate Gucci. Una performance art di difficile lettura per il critico musicale intollerante all'intrusione e quindi incapace di dare un significato ad una lezione sul costume e sulla maschera, dove tutto invece acquisisce un senso. La svestizione francescana è simbolo della maschera che cade, mettendo a nudo l'essere umano in cerca di se stesso. Scoprire chi si è veramente, prima di indossare le altre maschere necessarie a raccontare se stessi e il mondo circostante. Che sia quella della Marchesa Casati, amante del Vate e del “philtrum niveum”, pasto fosforico di un linguaggio immaginifico, o quella di Ziggy, non copia d'artista -come ancora bolla il bollito critico- ma copia di maschera marziana, o infine quella di un'antica regina con un popolo da salvare da se stesso.

Le Maschere rivisitate per social

Mentre il conformismo decreta un vincitore canoro, l'impero del trash colpisce ancora.
Le brutte intenzioni, la maleducazione hanno il sopravvento e la correzione di un testo diventa arte moderna come lo scotch su una banana.

La quotazione finale delle Brutte Intenzioni

Il mercato ha sempre bisogno di nuove maschere, mentre la canzone con più visualizzazioni è quella che nell'incipit ripete il nome della cantante, un mantra necessario per sentirsi esistere.
Come scrivevo ad un'amica, basta un modesto studio di linguistica cognitiva per comprendere la differenza di concetti metaforici, tra anticonformismo ed ignoranza.
Puoi anche provare a mettere una mascherina sugli occhi di un camionista al Guy Savoy di Parigi o al Le Bernardin di New York di Ripert, o un cuscino alla Regina nella mensa di Gigi il Troione o di Cencio La Parolaccia: la maschera cade e non c'è cuscino che tenga.
Tanti anni fa portai i miei figli a Dialogo nel Buio, una mostra percorso allestita presso l'istituto dei Ciechi di Milano, scoprendo con loro come l'assenza della luce non fosse simulazione di cecità, ma una meravigliosa sperimentazione di nuove percezioni della realtà e di forme di comunicazione molto più profonde e intense.

Forse non sarebbe male leggere un romanzo che racconta l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l'intero paese.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
Josè Saramago, Cecità, 1995



Se può consolare...


Il giorno seguente non morì nessuno
Josè Saramago, Le intermittenze della Morte, 2005


Bengt Ekerot, La Morte ne Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman, 1957



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