IN MEMORIA DI MIO PADRE
Ringrazio
chi lo ha salutato per l'ultima volta, chi ha portato conforto a me e alla mia famiglia, chi lo ha conosciuto e gli è stato accanto durante la sua
vita. Mio padre amava Dio in quanto amore. Per lui l'amore era
ovunque, non solo in una chiesa cattolica, ma anche in una moschea,
in un tempio buddista, in una piazza di paese. Non amava i riti e le
preghiere, ma amava la gente di qualunque etnia, fede religiosa,
razza e colore, con una netta predilezione per il sesso femminile. Io, suo figlio, non posso dargli torto.
Ci sono
momenti che devono arrivare, e infatti arrivano. Eppure quando
arrivano ti sconvolgono, perché ti accorgi che continui a vivere
anche senza una parte di te, la più importante, quella che ti ha
dato origine, quella che ti ha dato un nome, un cognome, un
indirizzo. Lui è stato la mia casa, una grande casa. Non solo un
riparo, ma un rifugio magico dal quale ci si poteva allontanare,
sicuri che sarebbe riapparso all'occorrenza, in qualunque luogo, in
qualunque momento. Mio padre sapeva raccontare la storia attraverso
la poesia, la sua e quella dei suoi amici scrittori, attori, registi,
pittori, critici. Che fossero perfetti sconosciuti o persone famose
lui era capace di far emergere la loro arte e sorprenderti facendoti
scoprire lati inesplorati, parti del mistero di ogni vita. Mi
dispiace per chi non ha visto mio padre, già Cavaliere della
Repubblica, essere premiato con l'Ambrogino d'Oro, il premio più
importante per un milanese che si era distinto nel mondo. Mi dispiace
soprattutto per chi non lo ha visto in perfetta salute, quando
parlava alle platee con l'entusiasmo di chi amava ciò che faceva,
seguendo le sue passioni. Proprio a causa delle sue passioni quando
ero piccolo non ho avuto modo di trascorrere molto tempo con mio
padre. Mi credevo sfortunato e poco amato, fino a quando lui mi ha
insegnato a distinguere il tempo, perché il tempo passato con lui
era davvero tempo di qualità. Non c'era noia, non c'era banalità,
c'era un senso; nonostante lui fosse pieno di difetti. Irascibile,
rompiballe, pericoloso nella guida (lo ricordo bene quando alla guida
della sua auto con mamma e figli piccoli al seguito saliva e scendeva
dai marciapiedi di Milano per evitare qualunque coda), era
irritabile, non sapevi mai come prenderlo. Era temibile per le sue
improvvise reazioni, variabili a seconda dell'umore. Io da piccolo a
tavola sedevo alla sua sinistra. Avevo paura di lui e mangiavo
inclinato a una distanza che io e mia sorella chiamavamo distanza
sberla, la nostra unità di misura di sicurezza. Chiaramente non
amava i capricci, come non amava i lamenti o quant'altro. Ha fatto lo
shampoo a sua figlia con l'insalata, con la zuppa di patate, coi
famosi piselli che avrebbero dato il soprannome a Francesca di
Signora Piselli. Lei piangeva ed io ridevo, e le prendevo perchè
mettevo in discussione l'autorità paterna. Certo, descritto così
potrebbe sembrare un mostro, ma lui sapeva conquistarti in un attimo.
Come la volta che venne a prendermi a scuola, riuscendo ad
interrompere una lezione che non poteva essere interrotta e a farmi
uscire immediatamente con la scusa di un incidente accaduto a mia
madre per portarmi invece a San Siro a vedere la partita del Milan
contro il Manchester City. O quando mi sorprese nel suo inviolabile
studio mentre cercavo di accendere il suo stereo: mi aspettavo le sue
urla e lui invece mi prese per mano e mi spiegò il senso del
silenzio nelle cesure musicali. Lui era così, saggio e folle, per
alcuni versi prevedibile e per altri imprevedibile, acuto e ottuso
nello stesso tempo, un ossimoro. Ma qualunque cosa fosse, sapeva
trasformarsi come un supereroe. Quando ho avuto davvero bisogno lui
c'era, come c'è sempre stato nei momenti difficili della famiglia.
Amava definirsi l'ultima ruota del carro, ragione per la quale
chiamavo mio fratello Michele la ruota di scorta dell'ultima ruota
del carro, e le prendevo. In realtà era la colonna nascosta della
casa, il capostipite di una famiglia che cresceva pazza a sua
immagine e somiglianza, apparentemente disunita, ma che sapeva
raccogliersi in se stessa e attorno a lui nei momenti difficili. La
sua malattia è durata dieci anni. Le circostanze hanno fatto sì che
io li abbia vissuti tutti accanto a lui e a mia madre. Pensavo
potesse essere un aiuto per loro, e lo è stato. Ma è stato
soprattutto un altro lento, lungo studio sull'attenzione, sulla
sensibilità, sulla ricerca ripetuta di soluzioni alternative,
palliativi e conforto a un problema comunque irrisolvibile. Mi è
servito. Ho riscoperto me stesso, ho potuto esaminare anni di lavoro
dei miei genitori attraverso i loro scritti, le loro bozze, le loro
memorie. Ho cercato di imparare l'arte della pazienza, della
perseveranza, della ricerca della perfezione. Ho sicuramente scoperto
il valore successivo al fallimento e allo sconforto, nella ricerca di
quella forza creduta persa e invece necessaria a ricominciare da
zero. Sono stato un po' di tutto, ho fatto un po' di tutto. Mi
chiamava Marco, ma poi mi ha chiamato Fabio, Paolo e Roberto, una
volta addirittura Carlotto. Poi sono diventato il suo amico. Ho amato
quell'aggettivo possessivo più del mio nome, perchè capivo di
essere diventato per lui un punto di riferimento costante e destinato
a diventare il più importante. Fu quando lui cominciò a chiamarmi
papà. E' incredibile come questa inversione di ruoli sembri aprire
un nuovo spazio mentale nel quale luogo e tempo non esistono e dove
sia possibile esaminare i due ruoli attraverso due diverse
prospettive contemporaneamente. E' difficile spiegare quanto
l'assunzione di diritti e doveri di entrambi i ruoli possano regalare
una forza straordinaria e una sicurezza quasi divina forse perchè
generata dall'incorporazione di padre e figlio. In sintesi ho avuto
la fortuna di fare un percorso straordinario. Penso mi abbia fatto
diventare un figlio, un padre, un fratello, ma anche un amico
migliore. Spero che lo spirito di mio padre mi dia forza ulteriore
per continuare a dedicare il mio futuro all'amore verso il prossimo e
alla difesa dei più deboli.
Il prenderci cura di una persona cara, intima ci permette di entrare in contatto con la parte più profonda e non conosciuta di noi...quando accade, tutto assume una nuova prospettiva...
RispondiEliminaRicorderò sempre con affetto il tuo papà...
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