DELL'ANIMA E DELLO SPIRITO


di Franca Maisetti Mazzei

In questo periodo della mia vita, una sorta di mondo parallelo - un mondo situato nel tempo e nello spazio tra realtà e ricordo - abita nella mia mente in alternante rapporto col mondo di tutti i giorni. Un mondo in cui mi immergo quando ho bisogno di entrare a contatto con la mia anima, quando ho bisogno di raccogliere tutte le mie forze per affrontare la realtà. 
Attualmente la lettura di Proust mi aiuta ad attivare il presente tramite il passato: affiorano ricordi casuali e involontari delle piccole cose, ritorno al tempo della giovinezza vissuto troppo velocemente, recupero in una discesa consapevole una nuova pienezza di vita che può condurre a una fusione con lo spirito del mondo. 
Anima e spirito. Il termine “anima”(pneuma) fa riferimento al principio vitale di ogni essere vivente: anima vegetativa e anima sensitiva se riferita a piante e animali, solo se riferita all’uomo dura oltre la morte e coincide con lo spirito in un’unica realtà.
Secondo San Paolo lo spirito dell’essere umano è quel “soffio di Dio” attraverso il quale si rivela un mondo più elevato sia del corpo che dell’anima. Entrambi appartengono a Dio e sono realtà immateriali con sfumature diverse tra loro e complementari. Da bambina pregavo il mio angelo custode che proteggeva la mia anima dai peccati del mondo e lo spirito santo era rappresentato come una colomba risplendente, lontanissima da me.
Il tempo e l’esperienza della vita mi hanno insegnato che l’anima è inaccessibile alla percezione corporea solo quando il mondo interno che la ospita è sconosciuto al corpo che la possiede, rischiando di morire senza aver mai percepito lo spirito universale del mondo che si manifesta nelle tante espressioni diverse delle realtà.
Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, definiva l’uomo cittadino di tre mondi: il corpo, l’anima e lo spirito. Col corpo l’uomo, attraverso le esperienze di fame, sete, piacere e dolore entra in relazione col mondo esterno: lo vede, lo sente, lo combatte, lo modifica. Vincendo e perdendo le varie battaglie e differenziandosi in tal modo dagli animali l’uomo sviluppa una razionalità che consente il perdurare della conoscenza, tramite la memoria. Con l’anima, la cui funzione è quella di mettere in relazione le sensazioni, le emozioni, le gioie e i dolori con la sua esistenza, costruisce il suo mondo interno, non come entità statica e definita ma in continua ricerca, sperimentando anche l’angoscia dell’assenza e sviluppando l’immaginazione.
Lo spirito è l’universalità della vita distinta dalla materia con la quale interagisce.
Cogliere lo spirito del mondo presuppone, a mio avviso, la capacità di uscire dall’egotismo riduttivo, allargare i confini dell’anima e, per quanto possibile, avvicinarsi a quella realtà lontana da quella in cui viviamo, dove albergano l’arte e la bellezza dell’universo.
Anima e spirito hanno costituito materia di curiosità da sempre, i filosofi ne hanno fatto materia di studio e riflessione. Ripercorrendo con la memoria i miei anni universitari mi appare per primo Cartesio e la sua “res cogitans”, poi Kant che ne fa il significante dell’attività creativa della ragione ne “La critica del giudizio” ed Hegel che presenta lo spirito nel suo sviluppo dialettico di spirito soggettivo, oggettivo e assoluto in “Fenomenologia dello spirito”.
Lo spirito è oggetto di indagine anche nelle scienze naturali e, durante il positivismo si tenta di subordinarne il significato, riducendolo a energia vitale. Nell’800 Wilhelm Dilthey, con il suo trattato “Introduzione alle scienze dello spirito” tenta di liberare il concetto di spirito da ogni subordinazione al positivismo rifacendosi alle categorie trascendentali di Kant e sottolineando le differenze dell’oggetto di indagine delle scienze dello spirito, rispetto a quelle delle scienze naturali.
Ciò che oggi mi interessa di più in Dilthey è il concetto di individualità. Leggo: “Nel comprendere il ritrovamento dell’Io nel tu, lo spirito si trova in gradi sempre superiori di connessione; questa identità dello spirito nell’io, nel tu, in ogni soggetto di una comunità, in ogni sistema di cultura e infine nella totalità dello spirito e nella storia universale, rende possibile la collaborazione delle diverse operazioni nelle scienze dello spirito. Il soggetto del sapere è qui identico al suo oggetto e questo è il medesimo di tutti i gradi della sua oggettivazione”. Esso rappresenta il momento in cui il pensante e il pensato, cioè soggetto e oggetto, coincidono. La fusione tra essere e pensiero ha rappresentato il fulcro intorno al quale si è sviluppato il pensiero filosofico occidentale a partire dagli antichi greci (Socrate aveva identificato l’Io con la coscienza) evolvendosi successivamente fino all’idealismo di Fichte (l’Io puro assimilato all’Io penso non determinato dalla realtà ma determinante la realtà). Per lui l’Io non può essere oggetto di conoscenza ma principio che rende possibile la conoscenza, riducendo invece l’autocoscienza ad una dimensione “mistica” dell’estasi che è una identificazione dell’Io col suo principio fondante, Dio unico grande IO da cui nascono e a cui ritornano le anime.
I concetti di Io, Anima, Spirito troveranno in Freud una diversa significazione. In una sorta di rivoluzione antropologica e filosofica, egli distrugge le certezze sulle quali si era costruita attraverso le varie epoche storiche la civiltà occidentale, partendo dall’analisi e dallo studio della natura umana non da filosofo ma da medico.
Per Freud l’anima è la “Psiche”(intesa come l’insieme delle funzioni celebrali, emotive, affettive e relazionali) e la psicoanalisi è l’analisi dell’anima dell’uomo. Nel ‘600 Leibniz aveva affermato che esistono nozioni di cui non si ha coscienza e che la mente contiene qualcosa che esula dalla coscienza. In pieno illuminismo Hume definisce l’Io come la somma delle nostre percezioni e Schopenhauer considererà l’Io come manifestazione particolare e superficiale di quella realtà unitaria e profonda da lui definita “volontà”. Secondo lui la vera natura dell’uomo è soggetta alle passioni e la ragione è come uno strumento che l’uomo possiede e usa per potersi realizzare.
Freud riprende il concetto di “Io” definendolo una realtà marginale; se ci sono cose di cui non abbiamo coscienza è come se per noi non ci fossero. La mente non si identifica quindi totalmente con la coscienza, ma è la coscienza ad essere una piccola parte della mente e l’Io è un punto di contatto tra le cose per lui importanti.
La Psiche è la mente nel suo complesso e in essa trova spazio l’Io (“Ego”) che è la parte potenzialmente cosciente della Psiche. (Nietzsche in “Umano, troppo umano” era arrivato a ipotizzare la mancanza di un Io; non esiste la sostanza, “l’essere manca” afferma Zarathustra, e non esistendo la sostanza pensante, non esiste l’Io.)
In oltre quarant'anni di lavoro come psicoanalista ho potuto constatare che una parte considerevole della nostra vita psichica si svolge fuori di noi. Non siamo mai interamente disponibili per il nostro spirito, mai interamente oggetti di coscienza. C’è una istintiva resistenza a portare alla luce del conscio quanto è inconscio, per la presenza di una attività riduttrice e deformatrice della nostra oscura realtà.
La tendenza a rimanere prigionieri del nostro autoinganno, a censurare cioè il pensiero profondo, secondo Freud, nasce dalla paura di apparire riprovevoli e sconvenienti sotto il profilo etico, estetico, sociale.
Ne “Il Motto di Spirito e la sua relazione con l’inconscio” (1905) Freud dice che le battute di spirito servono spesso ad esprimere in maniera mascherata quindi accettabile qualcosa che altrimenti espressa sarebbe sconveniente e inaccettabile. La loro funzione è quella di aiutarci in modo giocoso a tollerare superficialmente i bisogni rimossi.
Chi chiede di assoggettarsi ad un lavoro di analisi su di sé nella nostra epoca ha l’angoscia di non esistere, di vivere nella solitudine del proprio narcisismo, di non comunicare, di essere vittima della depressione, della violenza subita o agita, dell’uccisione del pensiero e del desiderio. E l’anima, “topos privilegiato per trasformare simbolicamente le esperienze e narrare le proprie rappresentazioni” (Ernest Cassirer), appare avvolta nella nebbia più fitta.
“Portiamo insieme la nostra parte di notte e la nostra parte di aurora” scriveva la Dickinson.
E nella notte il sogno diventa la nostra privata narrazione di ciò che accade nel teatro interno della memoria dove le rappresentazioni affettive, quasi sempre, si collegano all’infanzia.

Paul Klee, Strong Dream, 1929, Collezione Privata

“All’interno siamo senza età e quando parliamo a noi stessi, è la stessa età della persona alla quale stavamo parlando quando eravamo piccoli. E’ il corpo che sta cambiando intorno a noi, a quel centro senza età.” (David Lynch)
Il sogno ponte che collega il presente al passato, permette una conoscenza primordiale del mondo interno e storicizza l’inconscio. Il contatto con il mondo delle passioni, delle emozioni, dei sentimenti, risponde al bisogno dell’uomo di dare un senso alla propria esistenza; rappresenta una regressione dal livello del linguaggio al pensiero per immagini, un dialogo che l’uomo ha con se stesso. Gesti inibiti, emozioni represse, paure, angosce o altre trasformazioni o componenti del desiderio rimosso, trovano spazio nel sogno e, se l’individuo presta loro attenzione può aprire la strada per una maggiore conoscenza di ciò che alberga nel profondo della sua psiche o anima. Il sogno è la religione della mente che conferisce all’uomo la responsabilità dei suoi oggetti interni; ha una funzione centrale nell’economia della mente e, dando un senso alla vita affettiva ed emozionale lo mette in contatto con la sua anima.
Cartesio affermava che, sogno o veglia, l’unico metro di giudizio è quello della ragione e non delle percezioni sensoriali né delle immagini oniriche. E anche Kant ne “I sogni di un visionario chiariti con i segni della metafisica” definisce il sogno mera fantasia, qualcosa che è fuori dal reale, qualcosa di utopico, irreale e falso.
Un secolo dopo in Nietzsche troviamo il sogno quasi riconducibile all’arte ma innanzitutto accostato alla narrazione poetica come sostituzione della stessa durante il sonno attribuendole una valenza ermeneutica e veritativa rispetto ad alcune situazioni della veglia.
Dentro di noi c’è tutta la nostra vita e un oblio senza ritorno rende l’uomo prigioniero di se stesso. Se la sua mente gira a vuoto, egli produce solo pensieri concreti e sogni evacuativi. La funzione del sogno è quella di conoscersi. Platone diceva che noi siamo ciò che abbiamo scelto di essere, aprendo con queste parole l’interrogativo che da sempre l’uomo si pone: chi sono, cosa voglio, dove vado.
La nostra vita è una costante ricerca di piacere, di soddisfazioni che non solo non ammettiamo di desiderare ma che spesso non sappiamo nemmeno di desiderare. Solo a posteriori ci rendiamo conto del lungo travaglio psichico per raggiungere una meta e spesso siamo all’oscuro dell’intensità dei nostri sentimenti, di ciò che alberga nella mente confusamente. Una parte considerevole della nostra vita si svolge fuori di noi, non siamo mai interamente disponibili per il nostro spirito, mai interamente oggetti di coscienza.
Il sogno non appartiene solo alla notte; Freud ne “Il poeta e la fantasia” scrive che la fantasia col tempo è molto significativa. Passato, presente e futuro sono come infilati al filo del desiderio che li attraversa. Il lavoro mentale prende lo spunto dalla memoria e attraverso il linguaggio organizza l’esperienza.
“La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra della mia infanzia. Mi sposto con la velocità dei secondi. In verità abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio visita alla realtà.”(da un’intervista a Ingmar Bergmann).
Attraverso il linguaggio e tutto il mondo simbolico si generano le forme della realtà spirituale perché ogni simbolo rappresenta un codice attraverso cui si esprime lo spirito umano. Il mito, l’arte, la religione sono i fili che tessono la trama dell’esperienza perché fanno parte dell’universo simbolico.
Freud aveva individuato le fonti “carnali” di ogni creazione spirituale affermando l’unitarietà della nostra vita psichica; noi disponiamo di una sola specie di energia, diceva, la nostra libertà si limita a dirigerne l’uso.
Soggetti al desiderio ma liberi di scegliere il modo di soddisfarlo alimentando costantemente l’anima sede della coscienza, per aumentare la capacità di elevarsi verso il “sublime” sede dello spirito e verso la consapevolezza dell’Io, creatore e fruitore dell’Arte.

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