LUCE CHE VIENE DAL BUIO


Fu primavera
Luci come spazi
ombre come silenzi
fu primavera un giorno
e un pianto di rugiada
sopra i pensieri in fiore
e poi furono i venti
e le maree profonde
ferite di salmastro
e rughe inaridite
cicatrici del tempo
asciugate dal sole.
Addio farfalle
addio giochi perduti
scolora il desiderio
in un tramonto
di quieta attesa.

Carla Tolomeo - Metamorfosi n°2, 1976 - Acquaforte e acquatinta

Una piccola lampada sul comodino e un paio di mani che si muovono. Magicamente sulla parete nascono delle figure fantastiche fatte solo di ombra. Si muovono, si trasformano, si inseguono, corrono lungo il muro, scompaiono e ricompaiono. Se accendi la luce, i fantasmi svaniscono.
Il primo connubio tra luce e ombra appartiene alle ombre cinesi della mia infanzia. Altre ombre nel tempo hanno abitato la mia mente, alcune si dissolvevano al chiarore del giorno, altre rimanevano nascoste, sepolte in un profondo anfratto irraggiungibile. Per tutta la vita io, come qualsiasi altro essere umano, ho lottato consciamente e inconsciamente cercando di uscire dalla caverna, fare luce, sconfiggere i fantasmi non molto dissimili in fondo da quelli dell'infanzia, ma solo più chiari. Paura di esistere e di non esistere, di amare e di non essere amato, paura dell'abbandono, della separazione, della morte. Le ombre cinesi davano un volto ai fantasmi e a me il potere di trasformarli, distruggerli, cancellarli a piacimento.
Da sempre l'uomo tende all'assoluto ma si sente esistere solo nei suoi confini. Definire il tempo e lo spazio crea l'illusione di governare, possedere la natura e asservirla ai suoi bisogni.

Prometeo, racconta il mito, rubò il fuoco agli dei per introdurre il fuoco della vita alla creatura che aveva formato dal fango.
Ma chi è Prometeo si domanda il Boccaccio: "Questi è invero duplice come duplice è l'uomo che ha creato". Natura e cultura, istinto e conoscenza, materia e spirito, luce e ombra.
Così Prometeo ritiratosi sulla cime del Caucaso "Con lunga meditazione ed esperienza, percepì il corso degli astri e si acquistò conoscenza delle cause di molti fenomeni. (…) Insegnò ai popoli l'astrologia, le nozioni acquisite sui fulmini; e poiché del tutto ignoravano le usanze dei popoli civili, quegli uomini che aveva trovato rozzi e selvaggi, li lasciò uomini civili. (…) Nel luogo della perfezione tutte le cose sono animate da fuoco, cioè dalla luce della verità; e così l'uomo perfetto non è offuscato da nebbia di ignoranza".

Heinrich Friedrich Füger - Prometeo ruba il fuoco - 1817

Se osserviamo la formazione di un fulmine fatta da scienziati con una fotocamera da 5 milioni di fotogrammi al secondo ci rendiamo conto di quanto enorme sia la differenza rispetto alla percezione dell'occhio umano, capace di percepirne solo 25 per secondo. Ebbene attraverso quei fotogrammi si può vedere la prima formazione del fulmine: dal cielo parte come un percorso di prova con molte diramazioni. Successivamente, trovata la strada, il fulmine parte non più solo dal cielo. Dal punto di terra designato si alza una luce che rapidamente sale per incontrarsi con la luce che viene dal cielo. E' come un punto di incontro tra cielo e terra, di contatto tra natura e sovrannaturale, simbolo del coraggio e del limite umano. Ulisse mette a rischio la vita pur di ascoltare il canto delle sirene. Achab è atterrito dalla bianchezza della balena ma la insegue: Ismaele si domanda il perché, ma Ismaele non può capire il fuoco delirante teso a vincere il tormento dell'enigma dell’esistenza. Ismaele è la parte razionale di Achab che non vede l'ombra. Il mare e la balena, contenitore e contenuto, corpo e anima, ragione e passione. Achab solca e fende le onde illudendosi di governare da padrone il mare con l'ostinazione di una parte di sé. Quale? Ritorna l'enigma. Achab, rappresentazione dell'umanità, è insieme vittima e aggressore, dio e demone, signore apparente della vita e della morte, luce e ombra.


Herman Melville - Moby Dick - 1851


L'ignoto, come l'inconscio, fa paura perché non definito, ma insieme affascina perché in esso immaginiamo sepolte e nascoste ricchezze e verità a noi sconosciute. La luce della verità assoluta è ingannevole. E’ questo l'enigma dell'anima, quasi un ossimoro: oscurità e invisibilità insieme a verità, certezza, visibilità. Le dinamiche psichiche inconsce posseggono gli stessi paradossi riscontrabili nel mondo subatomico studiati dalla fisica quantistica. Come la luce può essere sia corpuscolare che ondulatoria, così un contenuto psichico può essere illuminato dalla luce della coscienza e al tempo stesso inconscio e in ombra. Mentre la luce può avere diversi gradi di intensità e di estensione e la sua attività può essere intermittente e discontinua, l’attività dell'inconscio è costante nel tempo, in quanto, anche in stato di veglia, continua a crescere il suo perpetuo sogno.
Esistono vari tipi di luce e vari tipi di coscienza. La luce notturna della luna, ad esempio, non è associata all'oscurità ma alla luce del cielo stellato che scaccia le tenebre.
Il simbolo lunare rappresenta quella coscienza luminosa che unisce invece di distinguere ed è riferita all'amore e al principio femminile. Diversamente dalla dura e penetrante luce del giorno, essa non fa risaltare nella loro differenziazione e separazione gli oggetti del mondo che non bisogna confondere tra loro, ma unisce nella sua magica luminosità ciò che è vicino con ciò che è lontano, ingrandisce ciò che è piccolo e abbassa ciò che è elevato, attenua i colori in un semi chiarore e fonde il paesaggio in una unità quasi magica.
In ogni cultura e in ogni religione la luce rappresenta il bello, il buono e l'utile; la tenebra rappresenta negazione dell'essere, del bene, della vita, della verità.
Per definire il contrasto tra bene e male si contrappongono i figli della luce ai figli delle tenebre, dualismo che si riflette anche nell'opposizione tra angeli e demoni, nei principi antitetici yin- yang e nelle divinità in lotta tra loro nelle cosmogonie delle antiche civiltà.

In una fantastica storia ambientata nell'antico Egitto, il conflitto tra luce e tenebra, bene e male, cielo e terra, fuoco e acqua, uomo e donna, natura e cultura, amore e vendetta, trovano la massima espressione nella magia della musica che il genio di Mozart ha reso indimenticabile nell'aria "La Regina della Notte" da "Il Flauto Magico". La favola racconta del principe Tamino che combatte le forze del male accompagnato dal servo Papageno sempliciotto e un po’ bugiardo, di Pamina prigioniera dell’incantatore Sarastro e della Regina della Notte Astrifiammante che arriva preceduta da tre coppie di fulmini e promette al principe la figlia Pamina in sposa se riesce a liberarla. Tamino, che ha avuto in dono un flauto magico, dopo varie peripezie arriva di fronte a tre templi: il tempio della Natura, il tempio della Ragione e il tempio della Saggezza. Dice di cercare l'amore e la virtù ma gli viene risposto che è impossibile finché è abitato dalla vendetta. Dovrà superare la prova del silenzio, la paura della morte ed essere purificato da terra, acqua, aria e fuoco. Al suono del flauto si scatenano le forze astrali, fiamme, ombre, bagliori, Tamino riesce a liberare Pamina protetti entrambi da una invisibile piramide di energia. La regina della notte, ovvero la parte oscura di Pamina, scompare perché Pamina ora è abitata dall'amore. Infine il male ritorna nelle tenebre e gli iniziati alla saggezza vengono accolti nel tempio del sole dove scompaiono le ombre e il cielo riserva bellezza, saggezza e amore.

In ogni realtà esiste il suo opposto. Quando nell'oscurità della notte un fulmine squarcia il cielo, la sua luce spaventa perché messaggera di morte, (Zeus lo scagliava sulla terra per punire) la stessa luce è messaggera di vita quando illumina, protegge, riscalda e vivifica ogni creatura.
La simbologia legata all'incontro-scontro tra luce e tenebra è la base su cui si svilupperanno miti, religioni, filosofia, scienza. Il sole rappresenterà il dio-creatore in molte culture e, nelle feste pagane a lui dedicate il 25 dicembre, segnerà l’ascesa graduale della luce che l’oscurità della notte aveva umiliato. Nella religione cristiana la luce non è Dio: Dio è luce. Egli è presente nella luce che rimane comunque "opera delle sue mani" e il 25 dicembre segna la nascita del Cristo "Fotoforo" o portatore di luce che dilegua le tenebre del peccato e salva l'umanità accendendo nell'animo di ciascuno una scintilla di luce divina.
L'ombra non appartiene né al buio, né alla luce ma è sostanziale quanto la luce anche se dal versante opposto. E’una dimensione della realtà dotata di uno statuto ontologico effettivo di una qualità diversa dalla luce. Senza l'ombra il mondo sarebbe illeggibile, non potremmo ricostruire la forma delle cose, non potremmo neanche conoscere la luce senza qualcosa da illuminare, senza che ci sia un'ombra che faccia contrasto alla luce stessa. Soltanto allora la luce diventa simbolo dell'evidenza, della chiarezza, della rivelazione, illuminando l'ignoto nascosto nell'ombra. In una sorta di danza degli opposti, in ognuno dei due elementi è presente ed agente l'elemento opposto: l'ombra nella luce e la luce nell'ombra.

Quando l'ombra si dilegua e se ne va, la luce che si accende, diventa ombra per altra luce.
Khalil Gibran


Marc Chagall - Gli Amanti in Blu - 1914 - Collezione Privata

In arte, l'ombra nata come strumento per riprodurre la profondità e la luce, ha poi acquistato una valenza simbolica fino a diventare la base su cui molti artisti hanno costruito la loro opera. L'arte visiva riceve spessore dal suo lato oscuro, dall'incertezza del chiaro-scuro e dalla luce che rivela esseri e cose dal loro contrasto. Nelle sue opere, ad esempio, Chagall illumina di luce pura l'amore e la felicità mentre la passione ha il colore del buio e della notte. Sospesi tra sogno e realtà i sentimenti si mescolano tra loro come i colori sulla tela. Noi portiamo insieme una parte di notte e una parte di aurora, l'uomo è anche la sua ombra. Il non possederla evoca una mancanza di interiorità, una sorta di alienazione diabolica, una scissione patologica.

Stellan Rye, un capostipite del cinema fantastico, precursore dell'espressionismo tedesco, ispirato forse alle opere di E.T.A. Hoffmann e Poe, racconta per immagini il tormento del vivere estraneo a se stesso. Nel film "Lo Studente di Praga" il giovane Balduin vende la propria ombra e si ritrova costantemente perseguitato dal suo doppio. 

Stellan Rye - Lo Studente di Praga - 1913

Nella confusione tra l'essere e il non essere, Balduin spara alla sua ombra uccidendo contemporaneamente se stesso. L'ombra è l'anima nascosta nelle pieghe della carne ma, nella sua accezione negativa, diventa la paura di non sapere e diventa angoscia.
Nel sotterraneo della nostra casa interna, tutto ciò che ci appartiene, tutto ciò che determina il nostro agire, la radice dei nostri sogni e delle nostre paure, degli entusiasmi e degli affetti, della rabbia e del dolore, è sepolto. Stratificazioni di memorie che il nostro corpo conserva e la nostra mente ha rimosso, possono trovare una fonte luminosa che permette loro di uscire dal mondo delle ombre.
Nella zona liminale di confine dove si intersecano contenuti consci e inconsci, c'è una coscienza più lunare e offuscata che permette di vedere più che le differenze i punti di contatto nei quali lo yin e lo yang si legano e, pur mantenendo sempre il loro statuto ontologico, ne creano un terzo nuovo. "Abbassa la luce, diventa un tutt'uno con il mondo opaco" per cogliere i chiaroscuri, recita Lao Tzu.

Una totale assenza di chiaroscuro nel film "Begotten" scritto, prodotto e diretto da E. Elias Merhige nel 1991 riesce fin dalle prime inquadrature a generare angoscia. Figure confuse, indefinite di uomini mascherati che si muovono con fatica in una realtà triste, squallida, impervia. 

E. Elias Merhige - Begotten - 1991 

Un uomo si dà la morte con un rasoio a significare la morte di Dio che versa il suo sangue, offrendo alle sue creature la libertà di essere a sua volta creatore di nuove vite. Con lo sperma del suo cadavere violentato una donna rimane incinta e poco dopo mette al mondo un mostro. Begotten, che significa generato non creato, ha nel suo etimo "Be" e "Get": essere ed ottenere, essere dio. La donna non poteva quindi che generare un mostro, sostituendosi a dio. Ombre varie di esseri indefiniti avanzano con fatica trascinando o trascinati da corde, acqua e terra prive di vita, corpi che violentano e sono violentati, membra nude che si agitano, tronchi d'albero secchi, ali di qualche uccello che ammorbano l'aria rendendola sempre più infida in uno spazio insieme angusto e indefinito.
Il film girato in un’atmosfera che rimanda all'origine del creato quando l'uomo, molto simile alla bestia, brancola nel buio dell'ignoranza guidato solo dall'istinto, è pieno di simbologie. Le mani riprese più volte nel gesto di violentare, stuprare piuttosto che costruire e lavorare; l'assenza di mezzi toni: dal bianco abbagliante che acceca, al nero che tutto ingloba e nasconde e rappresenta le tenebre del negativo. Volti sempre coperti e animaleschi di uomini incappucciati che usano e maltrattano la donna-madre-natura e il figlio da lei generato, la totale mancanza di comunicazione. Non esiste linguaggio ma solo il suono della natura che riporta al mondo sepolto nell'inconscio, agli incubi che sconvolgono la mente, generati da ansia di potere, dal desiderio di vendetta, da impotenza, da istinti animaleschi che trovano spazio soltanto nei sogni o nelle fantasie che animano i film horror e in ultima analisi dalla impossibilità di contrastare la propria morte.

"Siate coscienti", dice Jung, ma non troppo. "L'estrema sicurezza, l'inflazione della coscienza produce una zona d'ombra altrettanto enorme" Se l'Io non dice "mi sembra di aver capito" ma afferma senza ombra di dubbio "Io so che si tratta di questo e nient'altro" allora questa sfumatura introduce un elemento diabolico che distrugge ogni cosa, specie ciò che sta crescendo. "Per ogni scintilla di luce che strappiamo illuminando con la candela nel nostro Io un chiaro cerchio di consapevolezza, contemporaneamente rendiamo più buio il resto della stanza. Nel momento in cui accendiamo la candela, creiamo le tenebre fuori. Coscienza e inconscio nascono insieme come polarità dallo stato crepuscolare e nascono insieme, sempre e ogni volta. Si giunge alla paradossale conclusione che non esiste contenuto della coscienza che non sia inconscio sotto un altro aspetto."
E' necessario quindi portare alla luce della coscienza le oscurità interiori, guardare e riconoscere la luce dell'ombra, integrandola all'interno della personalità cosciente. Tale coscienza è necessaria per introdurci in quel materiale onirico dove sono presenti quelle zone liminali ma innanzitutto per il processo di individuazione quando, nelle fasi di passaggio, siamo alla ricerca di una identità che ci definisca.


Mi ritorna alla mente la potente immagine simbolica de "La Linea d'ombra" di Joseph Conrad al suo primo comando. Era molto giovane, con le certezze e l'incoscienza tipica della gioventù. In una nave "stregata" deve guidare una ciurma febbricitante ma risoluta, in un'atmosfera tra l'esotico e l'onirico. Il buio della notte, che non viene illuminato dalla parola e sfugge all'attenzione, si insinua sornione nei pochi intervalli di sonno sotto forma di sogno, talvolta di incubo, e lo costringe a cercare dentro di sé un barlume di luce che fughi gli scenari mentali interiori molto paurosi e lo aiuti ad affrontare il difficile passaggio dalla gioventù spensierata al periodo più consapevole dell'età matura.

In "Eyes Wide Shut" film testamento di Kubrick, (tratto da "Doppio sogno" di Schnitzler) il titolo sembra suggerire di tenere gli occhi ben chiusi per vedere meglio la realtà interna. Bill Harford, medico di successo, e la moglie Alice, compiono un viaggio nel labirinto della psiche alla ricerca della loro identità. Bill è proiettato all'esterno, contatta solo in parte il suo disagio esistenziale e le sue paure inconsce: ha bisogno di sperimentarsi ma lo fa innanzitutto identificandosi col ruolo di medico. Ancorato nel suo mondo borghese dalle assurde certezze, raramente si mette alla prova, cede piuttosto alla curiosità, si tormenta nella gelosia quando la moglie gli racconta i suoi sogni di tradimento, ma tiene sotto controllo le sue emozioni.
Alice vive un percorso analogo cercando dentro se stessa antiche sensazioni, i suoi sogni ricalcano il vissuto del marito ma, con maggiore intensità e verità, riesce a esprimere desideri, paure, emozioni fino ad arrivare alla consapevolezza della sua realtà di moglie, di donna e di madre, pur dentro le contraddizioni di una morale ambigua. Il sogno è un dono di Eros, ma solo quando si è creato un rapporto tra la luce e l'ombra, tra la coscienza e l'inconscio, quest'ultimo perde il suo aspetto minaccioso e diventa una guida.

Stanley Kubrick - Eyes Wide Shut - 1999

Arrivare a non avere paura è la meta ultima dell'uomo. Scrive Umberto Saba: "Come ho goduto tra la veglia e il sonno, questa mattina/ uomo ero ancora ed ero la marina/ libera ed infinita.".
Ma esiste purtroppo anche un "buco nero" che ingloba ogni coscienza. Luce e ombra si toccano, si sfiorano, si avvicinano, si confondono, non servono più a distinguere il bene dal male, il bianco dal nero, il giorno dalla notte. Si sprofonda progressivamente in una notte buia che elimina ogni conoscenza, ogni tipo di traccia mnemonica che si forma nel sistema nervoso in seguito all'esperienza e all'apprendimento delle più elementari forme dell'educazione.

Vivere da anni accanto a mio marito affetto dal morbo dell'Alzheimer mi ha portata a ipotizzare che in quello spazio corpuscolare in cui l’ombra e la luce si confondono, la vita non è più proiettata verso il futuro ma viene risucchiata dal passato e una memoria arcaica che non appartiene alla mente ma soltanto al corpo, tenta di farsi spazio. Assisto quotidianamente al progressivo avanzare dell'ombra che offusca la luce della consapevolezza e porta alla morte graduale dell'identità. A un'iniziale confusione di date, nomi, impegni, segue la perdita dell'orientamento nello spazio e nel tempo e subentra la paura. Le crisi di panico sconvolgono vieppiù la mente generando una sorta di rabbia immotivata verso tutti e nessuno. Le prime visite neurologiche aumentavano il disagio. - Come si chiama?- chiedeva il medico, e mio marito mi guardava con un'espressione smarrita. Non ricordava più il suo nome e poi il mio, quello dei figli, dei genitori. E dove è nato, e quando, e dove abita. E senza rendermene conto, rispondevo io alle domande in un assurdo desiderio di proteggerlo e di fare smettere questa tortura. Sì, proteggerlo come se fosse un bambino, e non mi meraviglio più quando ha paura e mi chiama mamma e qualcosa mi si spezza dentro. Continuo a cercare una fiammella nel buio, se c'è qualcosa in mezzo all'inferno che non sia inferno, e dargli spazio, soddisfare i bisogni primari, usare il linguaggio dei sensi, quello della prima infanzia, il contatto, il calore dei suoni dolci e carezzevoli, il sorriso e una costante accoglienza luminosa molto difficile.

Si ripropone forse in lui la stessa ansia che ha vissuto inconsapevolmente venendo al mondo, la lotta tra la vita e la morte, il passaggio da uno stato ad un altro. Non c'era ombra di coscienza quando lottava per uscire dal corpo della madre alla ricerca della luce, non c'è coscienza ora, prigioniero di un male che lo spinge verso il buio dell'abisso, alla ricerca di quel grembo che lo aveva contenuto. L'assenza della memoria genera una grande solitudine che a sua volta genera paura. Nel buio della paura che ingloba in sé ogni possibile elaborazione difensiva, il cuore tenta di comunicare con gli occhi qualcosa di sepolto nell'inconscio. Se per ipotesi una qualche forma di coscienza, una flebile luce, è ancora accesa nella sua mente, l'inevitabile regressione potrebbe essere l’ultima trasformazione in una organizzazione mentale in cui non esiste la paura. Qualcuno ha definito l'Alzheimer un grido di rifiuto, un suicidio sociale e intellettuale per non essere testimone della morte, ma questo appare più un'assurda difesa di chi vivendo a contatto con il malato cerca di dare un senso alla perdita dell'autonomia. Mi piacerebbe conoscere in quale mondo interno si formano i suoi sogni. Tento di afferrare qualcosa del sogno sognato nell'immediatezza del risveglio, nel tenue sorriso come una fugace possibilità di comunicazione, ma dura meno di un sospiro, un raggio dalle tenebre dell'inconscio che si spegne quando gli occhi si aprono al giorno. C'è comunque in me la speranza che nel sogno, dal buio dell'inconscio profondo, si accenda una luce speciale, un qualcosa che precede ogni trasformazione successiva, un riflesso di un vissuto molto molto arcaico quando non esisteva la parola ma soltanto il piacere e la soddisfazione del piacere, che mi illudo di cogliere nell'espressione del volto addormentato, rilassato e spesso sorridente. Mi piace pensare che le ombre cinesi dell'infanzia lo trasportino in un mondo di luce e di colori, gli regalino ancora storie fantastiche, nelle quali egli ha il potere di sconfiggere i fantasmi.
Nella consapevolezza della continua e inevitabile regressione della malattia è difficile un'accettazione che trova conforto solo in alcune sue poesie di quarant'anni fa. Sembrano raccontare nell'ombra di un presagio la ricerca di luce eterna.

Il corpo
Nato da sogni antichi
da fantasie raccolte
tra ulivi e gelsi
il corpo
non reca polvere
né sale di mare.
Ma i segni del passato
sospesi
a un tremito di ciglia
dicono un'ansia
solo per ciechi e sordi
indecifrabile.


Non ho forbici
Non ho più forbici per ritagliare i sogni
né fantasie dorate
ma queste lunghe ore solitarie
chicchi di melograno asprigni
dove i miei denti mordono scavando
una fessura insanguinata
per vedere la luce
(8 marzo 1978)

Ercole Pignatelli - Piante - 1977 - Disegno a penna e pastello

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