DONNA
Una pioggia di stelle
svela il mistero
Danae è la mia terra
Danae è la mia terra
Gustav Klimt, Danae, 1907-1908, olio su tela, 77×83 cm., Vienna, collezione privata |
Dalla somma di parole che nel tempo hanno definito l’immagine della donna, traspare la complessità della sua storia.
Nel passaggio da domina, signora della casa (domus) che affianca
il dominus alla pari, il termine donna acquista il significato di
ruolo. Non c’è più la sua originaria dimensione ideale di
padrona, mea domina (madonna degna di rispetto), sposa legittima
rispetto alla concubina che divide solo il letto del padrone. Il
termine donna, opposta a uomo, è nome comune dai molteplici
significati e ha bisogno di attributi per definirsi (donna di
servizio, donna di malaffare, prima donna…).
Mulier,
femminile di “vir” è la donna comune in età da marito, indica
anche moglie, (originariamente uxor), condizione sociale e
legale accreditata dalla nostra società. La donna diventa femmina
quando sono messi in risalto i suoi attributi sessuali; ha la stessa
radice di fecundus e indica la nutrice, colei che nutre e allatta.
Come nome comune indica il genere opposto al maschio.
Alla
donna è stato dato nel mito della creazione bellezza, curiosità,
intelligenza, seduttività e nel contempo la forza di dare la vita
sopportando un dolore impossibile al maschio. Senza la curiosità di
Eva avremmo un’esistenza piatta e l’impossibilità di conoscere,
inventare, costruire, amare, nascere e morire. Per ricompensa: “Sarai
sotto la potestà del marito ed egli dominerà su di te”
(Genesi-3,16).
Passata
la parentesi del tempo in cui nell’Olimpo oltre alla bellezza,
l’intelligenza, la forza ispiratrice, la vita, la morte e tante
altre qualità appartenevano alle dee (Venere, Minerva, Giunone,
Diana, le Muse, le Parche …) nei secoli a venire alla donna, molto
raramente viene riconosciuto il ruolo che le spetterebbe. La storia
dell’umanità la mostra fragile e debole fisicamente e mentalmente,
vittima di pregiudizi, ingiustizie e stereotipi; la pone in secondo
piano e priva di rilievo sul piano sociale, politico e giuridico. Che
sia considerata oggetto, schiava al servizio del maschio, domestica o
regina, vittima o eroina, difficilmente e raramente le si riconosce
intelletto, cuore e capacità alla pari dell’uomo.
Platone
nella “Repubblica” l’aveva posta al fianco dell’uomo con la
stessa cultura e la stessa responsabilità in ogni settore, degna di
aiuto e rispetto circa la minore resistenza fisica. Nella Spagna
islamica del XII secolo Averroè affermava che le donne sono uguali
agli uomini sotto ogni aspetto, ma nella migliore delle ipotesi, fino
a non molti secoli fa, dignità e personalità appartengono alla
donna catalogata nei ruoli di vergine, sposa, madre e vedova. Il suo
potere è circoscritto all’ambito della casa e della famiglia.
Procreatrice (da cui il termine “femmina”) educatrice affettuosa,
premurosa e insostituibile dei figli, sposa laboriosa al sostegno del
marito, amministratrice della casa, il suo ruolo è definito
all’interno della famiglia; il suo potere è mantenere la pace e
l’equilibrio tra i suoi componenti.
Nel
Medioevo la società e l’economia a base rurale, (sottolineata dal
divario tra i grandi proprietari terrieri e il resto della
popolazione) porta molte donne ad uscire da casa e lavorare nei campi
insieme agli uomini o al servizio dei ricchi; al lavoro domestico e
all’accudimento dei figli si aggiunge un pesante lavoro con un
salario (quando c’è) inferiore a quello maschile. Il patriarcato
ha già posto solide basi per definire l’inferiorità femminile
opponendosi all’indipendenza delle donne impossibilitate a
contrattare i propri servigi o a prendere marito senza il consenso
del padre o del padrone. Una parziale possibilità di riscatto viene
loro offerta dalla diffusione dei vari ordini monastici allorquando,
liberatasi dalla dipendenza paterna, la donna passa a una dipendenza
più accettabile. Alla contadina e all’artigiana si aggiunge la
monaca, sotto la guida della badessa, il cui potere è paragonabile a
quello della regina regnante ed è superiore a quello della dama di
alto lignaggio.
La
possibilità, anche se limitata, di acculturarsi, studiare,
esprimersi fa emergere figure femminili eccezionali la cui memoria
purtroppo solo raramente riesce a imporsi nel gotha maschile. Ne è
un esempio Ildegarda von Bingen nata nel 1098 in Germania.
Compositrice e naturalista, dichiarata nel 2012 dottore della chiesa
da Benedetto XVI, è poco nota purtroppo al grande pubblico. Ella
emerge per cultura, ricchezza di interessi e sensibilità non solo
nell’ambito monastico ma in assoluto, in ogni ambiente dove porta
il suo sapere con conferenze e dibattiti. Nei suoi “Tre testi
profetici” presenta una sintesi del pensiero teologico del sapere
fisiologico e delle speculazioni sul funzionamento del cervello e
dell’universo in cui il rapporto tra l’uomo e l’universo è
letto come quello tra microcosmo e macrocosmo. E’ l’unica in
un’epoca in cui alla donna non viene riconosciuto nessun valore
intellettuale ad interessarsi della salute femminile. Fa conoscere le
preziose proprietà delle piante e delle erbe, l’uso medico dei
vegetali, degli elementi della terra e degli animali, dei metalli e
delle pietre preziose. Affronta con chiarezza e senza pruderie i
problemi legati al sesso, chiamando col proprio nome ogni tipo di
perversione. Oltre ai veleni e agli afrodisiaci, esplora temi come la
risata, le lacrime, gli starnuti, il dolore e il piacere con estrema
sensibilità.
Hildegard Von Bingen, Libro delle Opere Divine |
Boccaccio nel suo “De claris mulieribus” illustra 106 donne famose in un arco di tempo che va dall’antichità al medioevo, da Eva alla Regina Giovanna. Esempi di virtù e di malvagità, includendo anche le donne della mitologia, con l’intento di indirizzare verso comportamenti corretti e degni tutte le donne. Ma nascere femmina, corretta o meno, è comunque una disgrazia. La sua libertà viene asservita agli interessi della famiglia d’origine. Se di famiglia ricca, è condannata a una vita di clausura per non disperdere il patrimonio; se destinata al matrimonio, educata all’obbedienza, in convento fino ai 13 anni, istruita quel tanto che basta per non fare sfigurare il marito. Non deve sapere più di quanto occorre, controllata costantemente perché potenzialmente peccatrice e soggetta ad essere sedotta dal diavolo. Casta, silenziosa, obbediente, deve imparare a prendersi cura della propria persona e della famiglia. Un’educazione troppo avanzata è ritenuta dannosa; l’importante è essere buone fattrici di figli sani e robusti. Il matrimonio è un mezzo per dirigere nella vita sociale la negatività del femminile e disciplinare la sua imperfezione naturale nell’universo maschile. Il marito, unico punto di riferimento, gestisce anche il corpo della moglie che deve portare oltre alla sua verginità una dote congrua. Uno dei pochi vantaggi viene alla donna con la vedovanza allorquando può impunemente disporre della libertà e delle sostanze ereditate.
Se
di famiglia povera, la donna talvolta sceglie il convento per
sfuggire alle violenze o al lavoro pesante; se prende marito, è a
lui succube, non ha nessun potere contrattuale sul lavoro, mette al
mondo tanti figli e spesso muore di parto. Indispensabile la dote,
condizione inderogabile la verginità. Prendendo gradualmente
coscienza dello stato di inferiorità rispetto al maschio, molte
donne si sforzano di manifestare una visione autonoma del proprio
mondo contrapposta all’immagine del maschio e si ritagliano spazi
di espressione nella letteratura, nella pittura, nella musica e negli
atti processuali dei tribunali.
All’inizio
del quattrocento una donna, laica e libera, di nazionalità francese ma
nata in Italia, pubblica “Le livre de la citè des domes” in
polemica con “De claris mulieribus” di Boccaccio. In esso con il
nome simbolico di Ragione, Rettitudine e Giustizia, donne degne di
stima, che niente hanno da invidiare agli uomini, ipotizzano una
città tutta al femminile che si contrappone a quanto di ombroso e
contraddittorio il Rinascimento riservava alle donne. E’ Christine
de Pizan, scrittrice di professione, che riesce a imporsi come
poetessa, storica, filosofa ed editrice. Muore a Poissy nel 1430
quattro secoli prima di Madame de Staël.
Christine de Pizan, miniatura tratta dal manoscritto “Libro della Città delle Dame”, 1401-1500, Bibliothèque Nationale de France, Parigi |
Ma, pur riconoscendo inevitabilmente un ruolo di rilievo, la stima nei loro confronti è apparente. In ambiente clericale nasce il paradosso che la donna, nata inferiore, regga il mondo: Dio si serve di lei, priva di virtù congenite, perché l’uomo non scivoli nella superbia nel compiere grandi imprese. La donna è considerata implicitamente responsabile dei fallimenti del suo uomo a causa della sua natura subdola e soggetta al peccato. C’è quasi da rimpiangere il tempo in cui l’aristocrazia cavalleresca del XII secolo attribuiva alla donna rapporti privilegiati con le potenze invisibili ed era capace di intercedere presso l’Altissimo per la vittoria del marito.
Le
prime opere al femminile nella letteratura, nella pittura, nella
musica trovano spazio nei salotti letterari patrocinati da patrizie e
regine e frequentati da letterati, filosofi e artisti di ambo i
sessi.
Nel
salotto letterario di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, si
avvicendano personaggi come Ariosto, Tasso, l’Aretino, Pontano,
Michelangelo Buonarroti. Quest'ultimo, conquistato dalla marchesa, di lei
scrive: “Un uomo in una donna, anzi un dio”. Vittoria Colonna va
sposa a Francesco d’Avalois con un matrimonio concordato dalle
famiglie quando erano bambini. Matrimonio felice comunque durato
poco, fino a quando la guerra tra Spagna e Francia e il ruolo di
ufficiale al servizio di Carlo V, non hanno allontanato Francesco
dalla moglie. Dopo la sua morte, in seguito a una ferita in
battaglia, Vittoria depressa si ritira in convento per diversi anni
dove compone le “Rime spirituali” e varie opere in prosa, pervase
da una intensa partecipazione al clima di inquietudine spirituale e
religiosa dell’epoca. Il suo amore per il marito ispira “Rime
amorose” obbligatoriamente scritte nello stile di Petrarca.
Vittoria Colonna, Rime Spirituali,dalla seconda edizione di Vincenzo Valgrisi (Venezia 1548) |
Vittoria Colonna la si ritrova nelle antologie del primo '900, le sue rime vengono studiate nelle scuole dalle quale è invece esclusa, perché scandalosa, un’altra donna, Gaspara Stampa, cortigiana veneziana, definita dai Romantici una novella Saffo. Capace di stare in equilibrio in un mondo ricco di stimoli e di possibilità, Gaspara Stampa aggira gli ostacoli delle convenzioni con una cultura e un fascino eccezionali. Bellissima, di famiglia borghese benestante, studia latino, greco, retorica, grammatica, musica, letteratura, canto. In una Venezia, capitale di uno stato ricco e potente, ammalia col suo canto, il suono del liuto, le sue poesie. “Vivere ardendo e non sentire il male” è il suo motto. Il suo “Canzoniere” è un diario epistolario d’amore che attraversa tutte la fasi della passione. Nessun Canzoniere del cinquecento offre un così vivo interesse documentario e psicologico. Ha amato e vissuto intensamente con passione; ha scritto, ignorando lo stile del Petrarca, versi d’amore senza mai essere stata sposata: versi maturi, ribelli, densi di autonomia. Nel suo salotto le commedie recitate dalla Compagnia della Calza dei Sempiterni hanno scene decorate dal Vasari e costumi disegnati da Tiziano e Tintoretto. Muore a soli 31 anni nel 1544 lasciando un segno di autenticità, verità e libertà in un mondo in cui letteratura e poesia cantano l’amore come desiderio, non passione erotica, non soddisfazione vissuta, ma spasmo per qualcosa di irraggiungibile.
Daniel Antonio Bertoli /Felicitas Sartori, Portrait of Gaspara Stampa, 1738 |
La donna ridotta a figura simbolica, è qualcosa di astratto, una madonna condannata al silenzio e all’anonimato priva di autonomia esistenziale; se la si considera figura fisica, è avida, lussuriosa, ingannatrice, maliziosa e pericolosa. Per la sua congenita devianza, allontana l’uomo dal suo compito. Nel 1544, anno della morte di Gaspara Stampa, nasce a Casola d’Elsa nei pressi di Siena, Maddalena Casulana, compositrice, liutista, cantante, autrice della prima storia della musica.
Ne
“Il primo libro dei madrigali a quattro voci” dedicato a Isabella
de’ Medici, sua protettrice, ella rivendica il ruolo delle donne
nell’arte della musica con l’intento di “…mostrare il vano
error degli uomini che degli alti doni dell’intelletto tanto si
credono padroni che par loro ch’alle donne non possono
medesimamente esser communi”. Donna libera, capace e diplomatica,
riesce a collaborare con la sua musica a quelle rappresentazioni che
nel corso dei secoli successivi diventeranno Commedia dell’Arte.
Maddalena è innanzitutto una compositrice; con “Il mottetto a
cinque voci” in occasione delle nozze di Guglielmo V (figlio del
duca di Baviera) con Renata di Lorena, acquista notorietà negli
ambienti di corte e in quelli accademici. Nel 1570 pubblica “Il secondo libro dei madrigali a quattro voci” dedicato all’ufficiale
governativo di Milano, Antonio Londonio che gli assicurerà i suoi
favori durante il suo soggiorno a Milano. Niccolò Tagliaferro, che
di lei più del canto apprezzava la composizione, scrive: “…arte
nella quale ella si dilettò molto, anzi più di quello che a
profession donnesca conviensi” Il suo talento fu apprezzato anche
in Francia dove pare che la regina Elisabetta d’Austria, regina di
Francia, in seguito alle nozze con Carlo IX di Valois, le abbia
elargito 500 lire francesi. La Casulana non fu comunque l’unico
esempio di donna-faber nell’universo musicale del secondo
Rinascimento: a Firenze Francesca Caccini (Cecchina) compositrice e
clavicembalista, a Venezia Barbara Strozzi compositrice e soprano di
musica barocca). Ma più che i personaggi, a scrivere la storia sono
le persone comuni. L’istruzione è possibile solo alle donne nobili
o della ricca borghesia, le altre, oltre a governare la casa e fare
figli, filano, tessono; se contadine, aiutano il marito, curano gli
animali, mungono le mucche, preparano burro, formaggio; in
alternativa sono operaie, lavandaie, bambinaie o balie. Se a questi
lavori, nobili e dignitosi come qualunque altro, si sottrae la
libertà di alimentare la mente e lo spirito, il rispetto, la dignità
della persona e l’effettiva capacità, il diritto al riposo, la
giusta ricompensa, essi diventano schiavitù e prevaricazione.
Le
difficoltà incontrate nel mondo del lavoro rappresentate dal
sessismo continuano dal seicento al settecento, all’ottocento e al novecento. Non sempre
riconoscibili né denunciabili, si mimetizzano entro confini che
sfuggono alla vista. Dotata per natura di astuzia, seduttività,
diplomazia, la donna usa le armi a sua disposizione per sopravvivere
e difendersi da chi calpesta il suo orgoglio, la sua creatività, la
sua passione. Si ribella indignata alle religioni che favoriscono i
maschi correndo il rischio di essere sospettata di stregoneria o
follia e condannata al rogo per la sua implicita o esplicita sfida
all’ordine patriarcale.
Jean
Jacques Rousseau considerava le donne “minaccia per la supremazia
naturale degli uomini”, la civiltà causa di tutti i mali e
dell’infelicità della vita dell’uomo. Solo la natura era per lui
la depositaria di tutte le qualità positive, ignorando l’essenza
della naturalità femminile. Aphra Behn, nata anni prima in
Inghilterra, aveva sconvolto la società perbenista con i suoi
scritti, poesie e opere teatrali pervasi di sessualità esplicita,
procurandole il titolo “La puttana poetessa”. Anni dopo Virginia
Woolf scriverà che “tutte le donne insieme dovrebbero lasciare dei
fiori sulla tomba di Aphra Behn, perché per merito suo hanno
guadagnato il diritto di parlare.” Ed è un’altra donna a
rappresentare la pittura rinascimentale al femminile, Artemisia
Gentileschi, simbolo del femminismo internazionale.
La costanza, la determinazione e la pazienza delle donne di ogni posizione sociale non si fermano. Moderata Fonte scrive della loro superiorità sugli uomini e Laura Cerata nelle sue “Epistolae Famileares” difende i diritti di tutte alla educazione, sottolineando i loro vari contributi alla cultura, alla politica, alla storia della vita intellettuali.
Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613); olio su tela, 158,8×125,5 cm, Museo di Capodimonte, Napoli |
La costanza, la determinazione e la pazienza delle donne di ogni posizione sociale non si fermano. Moderata Fonte scrive della loro superiorità sugli uomini e Laura Cerata nelle sue “Epistolae Famileares” difende i diritti di tutte alla educazione, sottolineando i loro vari contributi alla cultura, alla politica, alla storia della vita intellettuali.
Nel
corso del ‘700 Anna Morandi Manzolini (coetanea di Rousseau), di
umili origini, diviene docente di anatomia all’Università di
Bologna, scultrice e abile realizzatrice di modelli anatomici in
ceroplastica come Caterina De Julanis, monaca e artista napoletana, o
Laura Bassi Veratti, fisica e accademica.
Quando
nella seconda metà del ‘700 la prima rivoluzione francese fa da
detonatore, in Italia e in tutta Europa, alla ribellione delle classi
subalterne schiavizzate dalla povertà, sono le donne, popolane e
borghesi, a combattere strenuamente, organizzare sommosse, fare
sentire la loro voce in scritti, dibattiti, manifestazioni.
In
quel periodo di radicale sconvolgimento politico e sociale, nasce a
Parigi nel 1766 Madame de Stael. La sua educazione enciclopedica di
stampo illuministico e gli stimoli intellettuali fornitile dalla
madre fanno di lei “la donna più straordinaria mai vista”. La
dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, risultato
della rivoluzione, è per lei uno stimolo a sostenere una equa
ripartizione dei poteri e una condanna per le miserie della
condizione femminile. Esiliata da Napoleone nel 1803 per le sue idee,
scrive il romanzo “Delphine” nel quale critica il sistema
patriarcale ed è fautrice della libertà intellettuale. Il suo
pensiero influenza la cultura europea facendosi portavoce anche in
Italia di una società aperta a qualunque tipo di conoscenza e di
maggiore emancipazione per la donna. “In genere -scrive- per l’uomo
la donna deve consacrarsi unicamente alle virtù domestiche. Ciò che
sorprende nei loro giudizi è che perdonano più volentieri una donna
che trascura i propri doveri, piuttosto che si sia distinta in
qualche talento. Preferiscono il degrado del corpo all’elevazione
dello spirito.”
L’impossibilità di soggiogare con la forza le molteplici manifestazioni dell’intelligenza e della capacità femminile pone di fatto la donna “faber” al centro di un dibattito sul dismorfismo sessuale. Si attenua il rapporto gerarchico tra i due sessi, ma solo a livello ontologico, non a livello sociale. Rispetto al potere non viene riconosciuta la loro autonomia e indipendenza né in teoria né in pratica. Nell’Italia cattolica l’ideale per una donna è la purezza della Madonna vergine e madre. Unico spazio d’azione la casa. L’angelo del focolare non ha i requisiti per l’esercizio della cittadinanza.
Madame de Staël, Delphine |
L’impossibilità di soggiogare con la forza le molteplici manifestazioni dell’intelligenza e della capacità femminile pone di fatto la donna “faber” al centro di un dibattito sul dismorfismo sessuale. Si attenua il rapporto gerarchico tra i due sessi, ma solo a livello ontologico, non a livello sociale. Rispetto al potere non viene riconosciuta la loro autonomia e indipendenza né in teoria né in pratica. Nell’Italia cattolica l’ideale per una donna è la purezza della Madonna vergine e madre. Unico spazio d’azione la casa. L’angelo del focolare non ha i requisiti per l’esercizio della cittadinanza.
Le
dame di beneficenza appartenenti all’aristocrazia introducono
gradualmente nel XIX secolo un’immagine di donna meno fragile e
intimista, più dinamica e aperta al sociale, moralmente
irreprensibile, istruita e in una qualche misura autonoma. Alle
figure delle insegnanti e delle infermiere si aggiungono
progressivamente nel corso degli anni nuovi ruoli sociali con varie
occupazioni nel campo della sanità mentale. Il ruolo della maestra
stabilisce un punto di contatto tra la dimensione materna e quella
civile, tra spazio privato e spazio pubblico, che nel secolo
successivo porterà anche al ceto medio la possibilità di
un’educazione laica e una certa partecipazione alle battaglie
civili e politiche. Con una maggiore cultura, anche a livello
universitario, la donna emancipata ha reali possibilità di competere
con gli uomini ad ogni livello, ma non tutte le professioni riescono
ad essere esercitate se non battendosi strenuamente per i diritti
civili e politici.
Anche
se il codice equipara maschi e femmine, ad esempio nei diritti
ereditari, le donne possono goderne solo se nubili o vedove. Se
maritata, la moglie deve per legge delegare al marito l’esercizio
dei propri diritti.
All’inizio
del novecento il perno della lotta femminile è il diritto di voto. Dopo la
prima guerra mondiale in diversi paesi europei era stato concesso il
voto politico alle donne, ma non come individui a tutti gli effetti
bensì in quanto “generose verso gli altri” secondo il modello di
“maternità sociale”. (In Italia il diritto alle donne arriverà
nel 1945\1946)
Gli
anni si succedono, il lavoro maschile è caratterizzato da una
maggiore, anche se graduale, conquista di autonomia individuale e
sociale, si definiscono i diritti del cittadino, ma la mancanza di
una reale tutela del lavoro femminile e dei bambini spingono i
movimenti femminili operai alla ribellione. Un gruppo di donne
italiane entra in rapporto con donne di altri paesi europei che
combattono per l’uguaglianza dei diritti politici e per la riforma
dei codici che regolano i diritti di famiglia; abolire ogni
discriminazione, esclusione, subordinazione e qualsiasi altra
differenza tra i sessi della cultura precedente. Le donne reclamano
una considerazione di pari valore e capacità dell’uomo dimostrando
di averne capacità in ogni settore e in ogni paese. Nel 1906 Marie
Curie riesce tra mille difficoltà a laurearsi, insegnare alla
Sorbona di Parigi e vincere il Nobel per la chimica. In un campo
totalmente differente, Coco Chanel, da aiutante cappellaia in un
orfanotrofio riesce a diventare la signora della moda, rivoluzionando
stile ed eleganza in tutto il mondo. Madre Teresa, missionaria della
carità in India vince il Nobel per la pace. E un altro Nobel per la
pace viene data a Malala Yousafzai, una donna di soli 17 anni grazie
al suo eroico impegno per il diritto all’istruzione negato alle
donne del Pakistan, suo paese d’origine. Senza parlare di Indira
Gandhi, Simon de Beauvoir, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack,
Virginia Woolf e molte altre impegnate come soggetti politici
autonomi che non hanno bisogno di tutela alcuna dai parte dei padri,
dei mariti, dei legislatori, dei preti.
D’ora in poi la memoria riguarda la nostra vita, la storia vissuta dai nostri nonni e dai nostri genitori, per chi ha assistito, almeno in parte, alle lotte per la sopravvivenza e alle battaglie per i diritti civili e sociali.
D’ora in poi la memoria riguarda la nostra vita, la storia vissuta dai nostri nonni e dai nostri genitori, per chi ha assistito, almeno in parte, alle lotte per la sopravvivenza e alle battaglie per i diritti civili e sociali.
"Nel
cimitero del paese della mia infanzia c’è una colonna con incisi i
nomi dei tanti caduti nella prima guerra mondiale. Ad una strada è
stato dato il nome di mio zio, fratello maggiore di mio padre,
partito volontario a vent’anni nel 1915 e morto per quel Regno
d’Italia che ha visto in quella guerra 650.000 caduti e più di un
milione tra mutilati e dispersi. Della fatica delle singole donne
rimaste a combattere la fame, la solitudine, la stanchezza di un
lavoro costante dentro e fuori casa, nei campi, in fabbrica come
operaie, braccianti, contadine, serve, non c’è memoria scritta.
Molte vedove, tanti orfani. Mia nonna ha continuato per tutta la vita
a piangere suo figlio. Il suo dolore era inconsolabile come qualsiasi
cosa alla quale il cervello non sa dare una spiegazione. La ricordo
sempre vestita di nero, piccola, fragile, con una eleganza innata. Era analfabeta ma conosceva i numeri e sapeva fare la sua firma. Dopo
la morte del nonno, che non ho fatto in tempo a conoscere, ha gestito
con intelligenza, volontà e generosità quanto della guerra era
rimasto. Aveva l’età che ho io oggi, quando è morta. Erano
passate sulle sue spalle due guerre, drammi di diversa natura, una
situazione economica e sociale difficile, responsabilità alle quali
non era preparata, e a me diceva : “Non rassegnarti mai e difendi
sempre le tue idee ma rifletti prima di esprimerti perché è meglio
tacere che dire sciocchezze”. Nella mia famiglia si è sempre
parlato di giustizia e libertà, della non violenza come metodo di
vita, di fascismo incombente e di socialismo come forma suprema di
non violenza. Ma il filo che collega i ricordi e le idee con il loro
svolgimento lungo il percorso della mia vita si dipanerà in seguito, tra obbedienza e ribellione, in una certa misura tra Cristo e Marx con alterne fortune.".
Le idee camminando crescono,
cambiano, diventano emozioni, dolore, rabbia, rifiuto. Situazioni
nuove occupano disordinatamente spazi diversi della mente. Le
immagini scorrono, si accavallano, cercano di farsi spazio, di
prevalere le une sulle altre. Come i
ricordi di mia madre.
"Lenzuola bianche
stese al sole, profumo di vento e di lavanda. Le
donne delle grandi pulizie venivano
nella mia casa una volta al mese. Le stesse che d’estate sull’aia
insegnavano a infilare le foglie di tabacco su un serto di corda da
appendere al sole. Le
canzoni popolari accompagnavano
ogni loro lavoro. Al dialetto pugliese si univa talvolta un dialetto
“straniero” di una famiglia del nord rifugiata nelle campagne.
Altrove, nello stesso tempo, cortei di donne e bambini, merce
da smaltire, caricata su camion verso una destinazione tragica.".
Forse
perché nel corso dei secoli le donne hanno sempre dovuto combattere
per il riconoscimento della loro identità e indipendenza, forse
perché per natura hanno contrapposto all’irruenza e impulsività
del maschio una paziente riflessività e accondiscendenza, forse
perché ogni vita nasce nel grembo di donna e ogni affetto nasce dal
bisogno di proteggere la prole, le donne sanno per esperienza che
ogni amore nasce dalla capacità di prendere l’altro dentro di sé
e offrire all’altro se stesso. La donna veramente consapevole di sé
non ha bisogno di equipararsi all’uomo, né l’uomo di dimostrare
una assurda superiorità che spesso nasconde una paura della
dipendenza. La vera libertà sarà conquistata quando si affermerà
l’identità nella differenza, quando uomini e donne saranno in
grado di comunicare e arricchirsi scambievolmente nell’incontro di
due nature, entrambe ricche e complementari.
Commenti
Posta un commento