DONNA

Una pioggia di stelle
svela il mistero
Danae è la mia terra

Gustav Klimt, Danae, 1907-1908, olio su tela, 77×83 cm., Vienna, collezione privata


Dalla somma di parole che nel tempo hanno definito l’immagine della donna, traspare la complessità della sua storia.
Nel passaggio da domina, signora della casa (domus) che affianca il dominus alla pari, il termine donna acquista il significato di ruolo. Non c’è più la sua originaria dimensione ideale di padrona, mea domina (madonna degna di rispetto), sposa legittima rispetto alla concubina che divide solo il letto del padrone. Il termine donna, opposta a uomo, è nome comune dai molteplici significati e ha bisogno di attributi per definirsi (donna di servizio, donna di malaffare, prima donna…).
Mulier, femminile di “vir” è la donna comune in età da marito, indica anche moglie, (originariamente uxor), condizione sociale e legale accreditata dalla nostra società. La donna diventa femmina quando sono messi in risalto i suoi attributi sessuali; ha la stessa radice di fecundus e indica la nutrice, colei che nutre e allatta. Come nome comune indica il genere opposto al maschio.
Alla donna è stato dato nel mito della creazione bellezza, curiosità, intelligenza, seduttività e nel contempo la forza di dare la vita sopportando un dolore impossibile al maschio. Senza la curiosità di Eva avremmo un’esistenza piatta e l’impossibilità di conoscere, inventare, costruire, amare, nascere e morire. Per ricompensa: “Sarai sotto la potestà del marito ed egli dominerà su di te” (Genesi-3,16).
Passata la parentesi del tempo in cui nell’Olimpo oltre alla bellezza, l’intelligenza, la forza ispiratrice, la vita, la morte e tante altre qualità appartenevano alle dee (Venere, Minerva, Giunone, Diana, le Muse, le Parche …) nei secoli a venire alla donna, molto raramente viene riconosciuto il ruolo che le spetterebbe. La storia dell’umanità la mostra fragile e debole fisicamente e mentalmente, vittima di pregiudizi, ingiustizie e stereotipi; la pone in secondo piano e priva di rilievo sul piano sociale, politico e giuridico. Che sia considerata oggetto, schiava al servizio del maschio, domestica o regina, vittima o eroina, difficilmente e raramente le si riconosce intelletto, cuore e capacità alla pari dell’uomo.
Platone nella “Repubblica” l’aveva posta al fianco dell’uomo con la stessa cultura e la stessa responsabilità in ogni settore, degna di aiuto e rispetto circa la minore resistenza fisica. Nella Spagna islamica del XII secolo Averroè affermava che le donne sono uguali agli uomini sotto ogni aspetto, ma nella migliore delle ipotesi, fino a non molti secoli fa, dignità e personalità appartengono alla donna catalogata nei ruoli di vergine, sposa, madre e vedova. Il suo potere è circoscritto all’ambito della casa e della famiglia. Procreatrice (da cui il termine “femmina”) educatrice affettuosa, premurosa e insostituibile dei figli, sposa laboriosa al sostegno del marito, amministratrice della casa, il suo ruolo è definito all’interno della famiglia; il suo potere è mantenere la pace e l’equilibrio tra i suoi componenti.
Nel Medioevo la società e l’economia a base rurale, (sottolineata dal divario tra i grandi proprietari terrieri e il resto della popolazione) porta molte donne ad uscire da casa e lavorare nei campi insieme agli uomini o al servizio dei ricchi; al lavoro domestico e all’accudimento dei figli si aggiunge un pesante lavoro con un salario (quando c’è) inferiore a quello maschile. Il patriarcato ha già posto solide basi per definire l’inferiorità femminile opponendosi all’indipendenza delle donne impossibilitate a contrattare i propri servigi o a prendere marito senza il consenso del padre o del padrone. Una parziale possibilità di riscatto viene loro offerta dalla diffusione dei vari ordini monastici allorquando, liberatasi dalla dipendenza paterna, la donna passa a una dipendenza più accettabile. Alla contadina e all’artigiana si aggiunge la monaca, sotto la guida della badessa, il cui potere è paragonabile a quello della regina regnante ed è superiore a quello della dama di alto lignaggio.
La possibilità, anche se limitata, di acculturarsi, studiare, esprimersi fa emergere figure femminili eccezionali la cui memoria purtroppo solo raramente riesce a imporsi nel gotha maschile. Ne è un esempio Ildegarda von Bingen nata nel 1098 in Germania. Compositrice e naturalista, dichiarata nel 2012 dottore della chiesa da Benedetto XVI, è poco nota purtroppo al grande pubblico. Ella emerge per cultura, ricchezza di interessi e sensibilità non solo nell’ambito monastico ma in assoluto, in ogni ambiente dove porta il suo sapere con conferenze e dibattiti. Nei suoi “Tre testi profetici” presenta una sintesi del pensiero teologico del sapere fisiologico e delle speculazioni sul funzionamento del cervello e dell’universo in cui il rapporto tra l’uomo e l’universo è letto come quello tra microcosmo e macrocosmo. E’ l’unica in un’epoca in cui alla donna non viene riconosciuto nessun valore intellettuale ad interessarsi della salute femminile. Fa conoscere le preziose proprietà delle piante e delle erbe, l’uso medico dei vegetali, degli elementi della terra e degli animali, dei metalli e delle pietre preziose. Affronta con chiarezza e senza pruderie i problemi legati al sesso, chiamando col proprio nome ogni tipo di perversione. Oltre ai veleni e agli afrodisiaci, esplora temi come la risata, le lacrime, gli starnuti, il dolore e il piacere con estrema sensibilità.

Hildegard Von Bingen, Libro delle Opere Divine

Boccaccio nel suo “De claris mulieribus” illustra 106 donne famose in un arco di tempo che va dall’antichità al medioevo, da Eva alla Regina Giovanna. Esempi di virtù e di malvagità, includendo anche le donne della mitologia, con l’intento di indirizzare verso comportamenti corretti e degni tutte le donne. Ma nascere femmina, corretta o meno, è comunque una disgrazia. La sua libertà viene asservita agli interessi della famiglia d’origine. Se di famiglia ricca, è condannata a una vita di clausura per non disperdere il patrimonio; se destinata al matrimonio, educata all’obbedienza, in convento fino ai 13 anni, istruita quel tanto che basta per non fare sfigurare il marito. Non deve sapere più di quanto occorre, controllata costantemente perché potenzialmente peccatrice e soggetta ad essere sedotta dal diavolo. Casta, silenziosa, obbediente, deve imparare a prendersi cura della propria persona e della famiglia. Un’educazione troppo avanzata è ritenuta dannosa; l’importante è essere buone fattrici di figli sani e robusti. Il matrimonio è un mezzo per dirigere nella vita sociale la negatività del femminile e disciplinare la sua imperfezione naturale nell’universo maschile. Il marito, unico punto di riferimento, gestisce anche il corpo della moglie che deve portare oltre alla sua verginità una dote congrua. Uno dei pochi vantaggi viene alla donna con la vedovanza allorquando può impunemente disporre della libertà e delle sostanze ereditate.
Se di famiglia povera, la donna talvolta sceglie il convento per sfuggire alle violenze o al lavoro pesante; se prende marito, è a lui succube, non ha nessun potere contrattuale sul lavoro, mette al mondo tanti figli e spesso muore di parto. Indispensabile la dote, condizione inderogabile la verginità. Prendendo gradualmente coscienza dello stato di inferiorità rispetto al maschio, molte donne si sforzano di manifestare una visione autonoma del proprio mondo contrapposta all’immagine del maschio e si ritagliano spazi di espressione nella letteratura, nella pittura, nella musica e negli atti processuali dei tribunali.
All’inizio del quattrocento una donna, laica e libera, di nazionalità francese ma nata in Italia, pubblica “Le livre de la citè des domes” in polemica con “De claris mulieribus” di Boccaccio. In esso con il nome simbolico di Ragione, Rettitudine e Giustizia, donne degne di stima, che niente hanno da invidiare agli uomini, ipotizzano una città tutta al femminile che si contrappone a quanto di ombroso e contraddittorio il Rinascimento riservava alle donne. E’ Christine de Pizan, scrittrice di professione, che riesce a imporsi come poetessa, storica, filosofa ed editrice. Muore a Poissy nel 1430 quattro secoli prima di Madame de Staël.

Christine de Pizan, miniatura tratta dal manoscritto “Libro della Città delle Dame”, 1401-1500, Bibliothèque Nationale de France, Parigi

Ma, pur riconoscendo inevitabilmente un ruolo di rilievo, la stima nei loro confronti è apparente. In ambiente clericale nasce il paradosso che la donna, nata inferiore, regga il mondo: Dio si serve di lei, priva di virtù congenite, perché l’uomo non scivoli nella superbia nel compiere grandi imprese. La donna è considerata implicitamente responsabile dei fallimenti del suo uomo a causa della sua natura subdola e soggetta al peccato. C’è quasi da rimpiangere il tempo in cui l’aristocrazia cavalleresca del XII secolo attribuiva alla donna rapporti privilegiati con le potenze invisibili ed era capace di intercedere presso l’Altissimo per la vittoria del marito.
Le prime opere al femminile nella letteratura, nella pittura, nella musica trovano spazio nei salotti letterari patrocinati da patrizie e regine e frequentati da letterati, filosofi e artisti di ambo i sessi.
Nel salotto letterario di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, si avvicendano personaggi come Ariosto, Tasso, l’Aretino, Pontano, Michelangelo Buonarroti. Quest'ultimo, conquistato dalla marchesa, di lei scrive: “Un uomo in una donna, anzi un dio”. Vittoria Colonna va sposa a Francesco d’Avalois con un matrimonio concordato dalle famiglie quando erano bambini. Matrimonio felice comunque durato poco, fino a quando la guerra tra Spagna e Francia e il ruolo di ufficiale al servizio di Carlo V, non hanno allontanato Francesco dalla moglie. Dopo la sua morte, in seguito a una ferita in battaglia, Vittoria depressa si ritira in convento per diversi anni dove compone le “Rime spirituali” e varie opere in prosa, pervase da una intensa partecipazione al clima di inquietudine spirituale e religiosa dell’epoca. Il suo amore per il marito ispira “Rime amorose” obbligatoriamente scritte nello stile di Petrarca.

Vittoria Colonna, Rime Spirituali,dalla seconda edizione di Vincenzo Valgrisi (Venezia 1548)

Vittoria Colonna la si ritrova nelle antologie del primo '900, le sue rime vengono studiate nelle scuole dalle quale è invece esclusa, perché scandalosa, un’altra donna, Gaspara Stampa, cortigiana veneziana, definita dai Romantici una novella Saffo. Capace di stare in equilibrio in un mondo ricco di stimoli e di possibilità, Gaspara Stampa aggira gli ostacoli delle convenzioni con una cultura e un fascino eccezionali. Bellissima, di famiglia borghese benestante, studia latino, greco, retorica, grammatica, musica, letteratura, canto. In una Venezia, capitale di uno stato ricco e potente, ammalia col suo canto, il suono del liuto, le sue poesie. “Vivere ardendo e non sentire il male” è il suo motto. Il suo “Canzoniere” è un diario epistolario d’amore che attraversa tutte la fasi della passione. Nessun Canzoniere del cinquecento offre un così vivo interesse documentario e psicologico. Ha amato e vissuto intensamente con passione; ha scritto, ignorando lo stile del Petrarca, versi d’amore senza mai essere stata sposata: versi maturi, ribelli, densi di autonomia. Nel suo salotto le commedie recitate dalla Compagnia della Calza dei Sempiterni hanno scene decorate dal Vasari e costumi disegnati da Tiziano e Tintoretto. Muore a soli 31 anni nel 1544 lasciando un segno di autenticità, verità e libertà in un mondo in cui letteratura e poesia cantano l’amore come desiderio, non passione erotica, non soddisfazione vissuta, ma spasmo per qualcosa di irraggiungibile.

Daniel Antonio Bertoli /Felicitas Sartori, Portrait of Gaspara Stampa, 1738

La donna ridotta a figura simbolica, è qualcosa di astratto, una madonna condannata al silenzio e all’anonimato priva di autonomia esistenziale; se la si considera figura fisica, è avida, lussuriosa, ingannatrice, maliziosa e pericolosa. Per la sua congenita devianza, allontana l’uomo dal suo compito. Nel 1544, anno della morte di Gaspara Stampa, nasce a Casola d’Elsa nei pressi di Siena, Maddalena Casulana, compositrice, liutista, cantante, autrice della prima storia della musica.
Ne “Il primo libro dei madrigali a quattro voci” dedicato a Isabella de’ Medici, sua protettrice, ella rivendica il ruolo delle donne nell’arte della musica con l’intento di “…mostrare il vano error degli uomini che degli alti doni dell’intelletto tanto si credono padroni che par loro ch’alle donne non possono medesimamente esser communi”. Donna libera, capace e diplomatica, riesce a collaborare con la sua musica a quelle rappresentazioni che nel corso dei secoli successivi diventeranno Commedia dell’Arte. Maddalena è innanzitutto una compositrice; con “Il mottetto a cinque voci” in occasione delle nozze di Guglielmo V (figlio del duca di Baviera) con Renata di Lorena, acquista notorietà negli ambienti di corte e in quelli accademici. Nel 1570 pubblica “Il secondo libro dei madrigali a quattro voci” dedicato all’ufficiale governativo di Milano, Antonio Londonio che gli assicurerà i suoi favori durante il suo soggiorno a Milano. Niccolò Tagliaferro, che di lei più del canto apprezzava la composizione, scrive: “…arte nella quale ella si dilettò molto, anzi più di quello che a profession donnesca conviensi” Il suo talento fu apprezzato anche in Francia dove pare che la regina Elisabetta d’Austria, regina di Francia, in seguito alle nozze con Carlo IX di Valois, le abbia elargito 500 lire francesi. La Casulana non fu comunque l’unico esempio di donna-faber nell’universo musicale del secondo Rinascimento: a Firenze Francesca Caccini (Cecchina) compositrice e clavicembalista, a Venezia Barbara Strozzi compositrice e soprano di musica barocca). Ma più che i personaggi, a scrivere la storia sono le persone comuni. L’istruzione è possibile solo alle donne nobili o della ricca borghesia, le altre, oltre a governare la casa e fare figli, filano, tessono; se contadine, aiutano il marito, curano gli animali, mungono le mucche, preparano burro, formaggio; in alternativa sono operaie, lavandaie, bambinaie o balie. Se a questi lavori, nobili e dignitosi come qualunque altro, si sottrae la libertà di alimentare la mente e lo spirito, il rispetto, la dignità della persona e l’effettiva capacità, il diritto al riposo, la giusta ricompensa, essi diventano schiavitù e prevaricazione.
Le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro rappresentate dal sessismo continuano dal seicento al settecento, all’ottocento e al novecento. Non sempre riconoscibili né denunciabili, si mimetizzano entro confini che sfuggono alla vista. Dotata per natura di astuzia, seduttività, diplomazia, la donna usa le armi a sua disposizione per sopravvivere e difendersi da chi calpesta il suo orgoglio, la sua creatività, la sua passione. Si ribella indignata alle religioni che favoriscono i maschi correndo il rischio di essere sospettata di stregoneria o follia e condannata al rogo per la sua implicita o esplicita sfida all’ordine patriarcale.
Jean Jacques Rousseau considerava le donne “minaccia per la supremazia naturale degli uomini”, la civiltà causa di tutti i mali e dell’infelicità della vita dell’uomo. Solo la natura era per lui la depositaria di tutte le qualità positive, ignorando l’essenza della naturalità femminile. Aphra Behn, nata anni prima in Inghilterra, aveva sconvolto la società perbenista con i suoi scritti, poesie e opere teatrali pervasi di sessualità esplicita, procurandole il titolo “La puttana poetessa”. Anni dopo Virginia Woolf scriverà che “tutte le donne insieme dovrebbero lasciare dei fiori sulla tomba di Aphra Behn, perché per merito suo hanno guadagnato il diritto di parlare.” Ed è un’altra donna a rappresentare la pittura rinascimentale al femminile, Artemisia Gentileschi, simbolo del femminismo internazionale.


Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613); olio su tela, 158,8×125,5 cm, Museo di Capodimonte, Napoli


La costanza, la determinazione e la pazienza delle donne di ogni posizione sociale non si fermano. Moderata Fonte scrive della loro superiorità sugli uomini e Laura Cerata nelle sue “Epistolae Famileares” difende i diritti di tutte alla educazione, sottolineando i loro vari contributi alla cultura, alla politica, alla storia della vita intellettuali.
Nel corso del ‘700 Anna Morandi Manzolini (coetanea di Rousseau), di umili origini, diviene docente di anatomia all’Università di Bologna, scultrice e abile realizzatrice di modelli anatomici in ceroplastica come Caterina De Julanis, monaca e artista napoletana, o Laura Bassi Veratti, fisica e accademica.
Quando nella seconda metà del ‘700 la prima rivoluzione francese fa da detonatore, in Italia e in tutta Europa, alla ribellione delle classi subalterne schiavizzate dalla povertà, sono le donne, popolane e borghesi, a combattere strenuamente, organizzare sommosse, fare sentire la loro voce in scritti, dibattiti, manifestazioni.
In quel periodo di radicale sconvolgimento politico e sociale, nasce a Parigi nel 1766 Madame de Stael. La sua educazione enciclopedica di stampo illuministico e gli stimoli intellettuali fornitile dalla madre fanno di lei “la donna più straordinaria mai vista”. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, risultato della rivoluzione, è per lei uno stimolo a sostenere una equa ripartizione dei poteri e una condanna per le miserie della condizione femminile. Esiliata da Napoleone nel 1803 per le sue idee, scrive il romanzo “Delphine” nel quale critica il sistema patriarcale ed è fautrice della libertà intellettuale. Il suo pensiero influenza la cultura europea facendosi portavoce anche in Italia di una società aperta a qualunque tipo di conoscenza e di maggiore emancipazione per la donna. “In genere -scrive- per l’uomo la donna deve consacrarsi unicamente alle virtù domestiche. Ciò che sorprende nei loro giudizi è che perdonano più volentieri una donna che trascura i propri doveri, piuttosto che si sia distinta in qualche talento. Preferiscono il degrado del corpo all’elevazione dello spirito.”


Madame de Staël, Delphine

L’impossibilità di soggiogare con la forza le molteplici manifestazioni dell’intelligenza e della capacità femminile pone di fatto la donna “faber” al centro di un dibattito sul dismorfismo sessuale. Si attenua il rapporto gerarchico tra i due sessi, ma solo a livello ontologico, non a livello sociale. Rispetto al potere non viene riconosciuta la loro autonomia e indipendenza né in teoria né in pratica. Nell’Italia cattolica l’ideale per una donna è la purezza della Madonna vergine e madre. Unico spazio d’azione la casa. L’angelo del focolare non ha i requisiti per l’esercizio della cittadinanza.
Le dame di beneficenza appartenenti all’aristocrazia introducono gradualmente nel XIX secolo un’immagine di donna meno fragile e intimista, più dinamica e aperta al sociale, moralmente irreprensibile, istruita e in una qualche misura autonoma. Alle figure delle insegnanti e delle infermiere si aggiungono progressivamente nel corso degli anni nuovi ruoli sociali con varie occupazioni nel campo della sanità mentale. Il ruolo della maestra stabilisce un punto di contatto tra la dimensione materna e quella civile, tra spazio privato e spazio pubblico, che nel secolo successivo porterà anche al ceto medio la possibilità di un’educazione laica e una certa partecipazione alle battaglie civili e politiche. Con una maggiore cultura, anche a livello universitario, la donna emancipata ha reali possibilità di competere con gli uomini ad ogni livello, ma non tutte le professioni riescono ad essere esercitate se non battendosi strenuamente per i diritti civili e politici.
Anche se il codice equipara maschi e femmine, ad esempio nei diritti ereditari, le donne possono goderne solo se nubili o vedove. Se maritata, la moglie deve per legge delegare al marito l’esercizio dei propri diritti.
All’inizio del novecento il perno della lotta femminile è il diritto di voto. Dopo la prima guerra mondiale in diversi paesi europei era stato concesso il voto politico alle donne, ma non come individui a tutti gli effetti bensì in quanto “generose verso gli altri” secondo il modello di “maternità sociale”. (In Italia il diritto alle donne arriverà nel 1945\1946)
Gli anni si succedono, il lavoro maschile è caratterizzato da una maggiore, anche se graduale, conquista di autonomia individuale e sociale, si definiscono i diritti del cittadino, ma la mancanza di una reale tutela del lavoro femminile e dei bambini spingono i movimenti femminili operai alla ribellione. Un gruppo di donne italiane entra in rapporto con donne di altri paesi europei che combattono per l’uguaglianza dei diritti politici e per la riforma dei codici che regolano i diritti di famiglia; abolire ogni discriminazione, esclusione, subordinazione e qualsiasi altra differenza tra i sessi della cultura precedente. Le donne reclamano una considerazione di pari valore e capacità dell’uomo dimostrando di averne capacità in ogni settore e in ogni paese. Nel 1906 Marie Curie riesce tra mille difficoltà a laurearsi, insegnare alla Sorbona di Parigi e vincere il Nobel per la chimica. In un campo totalmente differente, Coco Chanel, da aiutante cappellaia in un orfanotrofio riesce a diventare la signora della moda, rivoluzionando stile ed eleganza in tutto il mondo. Madre Teresa, missionaria della carità in India vince il Nobel per la pace. E un altro Nobel per la pace viene data a Malala Yousafzai, una donna di soli 17 anni grazie al suo eroico impegno per il diritto all’istruzione negato alle donne del Pakistan, suo paese d’origine. Senza parlare di Indira Gandhi, Simon de Beauvoir, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Virginia Woolf e molte altre impegnate come soggetti politici autonomi che non hanno bisogno di tutela alcuna dai parte dei padri, dei mariti, dei legislatori, dei preti.

D’ora in poi la memoria riguarda la nostra vita, la storia vissuta dai nostri nonni e dai nostri genitori, per chi ha assistito, almeno in parte, alle lotte per la sopravvivenza e alle battaglie per i diritti civili e sociali.
"Nel cimitero del paese della mia infanzia c’è una colonna con incisi i nomi dei tanti caduti nella prima guerra mondiale. Ad una strada è stato dato il nome di mio zio, fratello maggiore di mio padre, partito volontario a vent’anni nel 1915 e morto per quel Regno d’Italia che ha visto in quella guerra 650.000 caduti e più di un milione tra mutilati e dispersi. Della fatica delle singole donne rimaste a combattere la fame, la solitudine, la stanchezza di un lavoro costante dentro e fuori casa, nei campi, in fabbrica come operaie, braccianti, contadine, serve, non c’è memoria scritta. Molte vedove, tanti orfani. Mia nonna ha continuato per tutta la vita a piangere suo figlio. Il suo dolore era inconsolabile come qualsiasi cosa alla quale il cervello non sa dare una spiegazione. La ricordo sempre vestita di nero, piccola, fragile, con una eleganza innata. Era analfabeta ma conosceva i numeri e sapeva fare la sua firma. Dopo la morte del nonno, che non ho fatto in tempo a conoscere, ha gestito con intelligenza, volontà e generosità quanto della guerra era rimasto. Aveva l’età che ho io oggi, quando è morta. Erano passate sulle sue spalle due guerre, drammi di diversa natura, una situazione economica e sociale difficile, responsabilità alle quali non era preparata, e a me diceva : “Non rassegnarti mai e difendi sempre le tue idee ma rifletti prima di esprimerti perché è meglio tacere che dire sciocchezze”. Nella mia famiglia si è sempre parlato di giustizia e libertà, della non violenza come metodo di vita, di fascismo incombente e di socialismo come forma suprema di non violenza. Ma il filo che collega i ricordi e le idee con il loro svolgimento lungo il percorso della mia vita si dipanerà in seguito, tra obbedienza e ribellione, in una certa misura tra Cristo e Marx con alterne fortune.".
LQ e idee camminando crescono, cambiano, diventano emozioni, dolore, rabbia, rifiuto. Situazioni nuove occupano disordinatamente spazi diversi della mente. Le immagini scorrono, si accavallano, cercano di farsi spazio, di prevalere le une sulle altre. Come i ricordi di mia madre. 
"Lenzuola bianche stese al sole, profumo di vento e di lavanda. Le donne delle grandi pulizie venivano nella mia casa una volta al mese. Le stesse che d’estate sull’aia insegnavano a infilare le foglie di tabacco su un serto di corda da appendere al sole. Le canzoni popolari accompagnavano ogni loro lavoro. Al dialetto pugliese si univa talvolta un dialetto “straniero” di una famiglia del nord rifugiata nelle campagne. Altrove, nello stesso tempo, cortei di donne e bambini, merce da smaltire, caricata su camion verso una destinazione tragica.". 
Forse perché nel corso dei secoli le donne hanno sempre dovuto combattere per il riconoscimento della loro identità e indipendenza, forse perché per natura hanno contrapposto all’irruenza e impulsività del maschio una paziente riflessività e accondiscendenza, forse perché ogni vita nasce nel grembo di donna e ogni affetto nasce dal bisogno di proteggere la prole, le donne sanno per esperienza che ogni amore nasce dalla capacità di prendere l’altro dentro di sé e offrire all’altro se stesso. La donna veramente consapevole di sé non ha bisogno di equipararsi all’uomo, né l’uomo di dimostrare una assurda superiorità che spesso nasconde una paura della dipendenza. La vera libertà sarà conquistata quando si affermerà l’identità nella differenza, quando uomini e donne saranno in grado di comunicare e arricchirsi scambievolmente nell’incontro di due nature, entrambe ricche e complementari.

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