BANDERSNATCH. Oltre lo specchio nero



Bandersnatch era una delle creature immaginarie inventate da Lewis Carroll in “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”. Carroll lo aveva introdotto nel poemetto umoristico “La caccia allo snark” dove spiegava che la creatura poteva essere trovata solo attraversando lo specchio.

Se già la serie Black Mirror aveva un chiaro riferimento a Carroll, Bandersnatch rappresenta un invito ad attraversare questo specchio nero ed entrare attivamente in un mondo distopico. Ci si trova così nel 1984, lo stesso anno del celebre romanzo di Orwell,  a seguire un percorso gravido di ulteriori citazioni letterarie distopiche (Phil K. Dick, Aldous Huxley, Timothy Leary) e di richiami alla serie Black Mirror (Metal Head, Nosedive, San Junipero, White Bear). 
Stefan, il protagonista, vorrebbe trasformare in videogioco Bandersnatch, un libro di fantasia scritto da Jerome F. Davies (interpretato da Jeff Minter, nella realtà programmatore e autore di videogiochi britannico e fondatore della softwarehouse Llamasoft). Il libro aveva portato alla follia il suo autore, il videogioco sarà per Stefan uno sforzo mentale che farà riaffiorare i traumi del passato, come un bianconiglio strappato dalla tana. Scelte binarie indirizzeranno Stefan (un lupo solitario come il protagonista della serie di libro-games di Joe Daver) attraverso mondi paralleli e diversi possibili finali.

Ci sono messaggi in ogni videogioco. Come in Pac-Man. Sai cosa significa Pac-Man? Programma e controllo. È un uomo programmato e controllato. È tutta una metafora. Crede di avere libero arbitrio, ma è intrappolato in un labirinto del sistema. Può solo consumare. È inseguito da demoni, probabilmente immaginari, e se riesce ad uscire da un lato del labirinto, che succede? Rientra dal lato opposto. La gente pensa sia carino. Non lo è. È un mondo di merda, e la cosa peggiore è che è reale e ci viviamo. Colin Ritman, Bandersnatch

Bandersnatch non è un film, piuttosto la sua evoluzione: un’esperienza visiva che si racconta in scelte binarie influenti che caratterizzano il substrato filmico e consentono al dispositivo cinematografico un salto quantico.
Per dispositivo cinematografico si intende una delle forme simboliche in cui si è organizzata la rappresentazione del mondo tramite la visione (e l'ascolto) e che riguarda le condizioni di proiezione e di fruizione del film nella sala cinematografica.
Il primo nucleo della nozione di dispositivo cinematografico nacque in Francia alla fine degli anni Quaranta nell'ambito della filmologia e dell'analisi degli effetti del cinema sugli spettatori. Ne parlarono per primi, sulla “Revue internationale de filmologie”, lo psicologo della percezione Albert Michotte van den Berck e lo psichiatra e psicologo infantile Henri Wallon, i quali si soffermarono su quel complesso di meccanismi psicologici che la “situazione cinematografica” mette in atto, quali la percezione, l'impressione di realtà, la comprensione, la memorizzazione e la partecipazione emotiva e affettiva.
Wallon, studiando “l'analogia tra la percezione e il film”, sostiene che così come noi percepiamo la realtà attraverso delle forme, nello stesso modo lo spettatore è indotto a strutturare le immagini proiettate sullo schermo, poiché il film è costruito in modo tale da operare “al posto e in vece dello spettatore” (Wallon 1947), mimandone la visione psicologica. È il film, che mette in atto un mondo audiovisuale dove si presenta l'oggetto successivamente sotto differenti angoli; è il film che sceglie i dettagli e i primi piani, che sostituisce la sua indagine alla nostra, che sottolinea corpi e azioni catturando la nostra attenzione, che offre sintesi, variazioni e simultaneità delle coordinate spazio-temporali, che sovrappone le immagini e trasforma oggetti e persone.
Se nella percezione normale il soggetto percipiente appartiene allo stesso campo di esperienza dell'oggetto percepito, che è reale e presente, al cinema invece si trova in una sala e ciò che percepisce sono delle immagini di oggetti assenti, riprodotti sullo schermo. La conseguenza è che ciò che appare sullo schermo è totalmente separato e inaccessibile allo spettatore che siede nella sala, al contrario di quello che succede a teatro dove non vi è alterità tra il palcoscenico e il pubblico e dove attori e spettatori condividono lo stesso spazio, la stessa atmosfera e, soprattutto, la stessa realtà. 
Al cinema vige quindi un regime di “segregazione degli spazi”, di separazione e di opposizione tra la “serie visiva” che passa sullo schermo e le “sensazioni propriocettive” che appartengono alla soggettività dello spettatore. Ed è proprio l'incompatibilità tra questi due spazi, tra lo spazio della sala buia e quello dello schermo luminoso che attrae completamente l'attenzione dello spettatore, a obbligare quest'ultimo a “sacrificare una serie all'altra”, la serie propriocettiva a favore di quella visiva e a permettergli quell'oblio di sé e quella situazione di regressione e di passività grazie alle quali si instaurano i profondi fenomeni di identificazione e di proiezione studiati, in particolare, dalla teoria psicoanalitica del cinema.

“Non sono più nella mia vita, sono nel film che è proiettato davanti a me” Wallon (1953).

Dal momento in cui nella sala cinematografica si spengono le luci e inizia il film, lo spettatore si trova in una situazione di isolamento e di abbandono e passa, secondo Erich Feldmann (1956), da una “situazione reale” a una “situazione irreale”, del tutto illusoria. Michotte (1948) - al quale si devono gli importanti esperimenti sull'impressione di realtà, il cui fattore essenziale è il movimento, che dà corporeità e rilievo agli oggetti filmati - sostiene, a sua volta, che l'esperienza cinematografica è una singolare congiunzione di reale e di artificiale in cui lo spettatore vive la contraddizione tra ciò che “sente” (la percezione quasi “sensoriale” di ciò che vediamo e le reali emozioni e sentimenti che il film provoca) e ciò che “sa” (il fatto che ciò che vediamo non è reale) e che giustifica la formazione del concetto di illusione, concetto molto vicino a quel processo di scissione dell'Io, di dialettica tra “sapere” e “credere”, tra presenza vissuta e assenza reale (dell'oggetto filmato) che sta alla base del feticismo dello spettatore, analizzato in seguito da Christian Metz (1977).
Tutte queste riflessioni (il particolare regime di percezione, l'effetto di senso che il film induce sullo spettatore, i fenomeni di credenza, la segregazione degli spazi, l'illusione, l'impressione di realtà) furono riprese in seguito, in modo originale, da Jean-Louis Baudry (1970 e 1975), che elaborò il concetto vero e proprio di dispositivo, compiendo, grazie al passaggio dalla psicologia alla psicoanalisi, un salto teorico. Secondo Baudry, infatti, il dispositivo non mima semplicemente i processi mentali e coscienti dello spettatore, come già aveva detto, prima della filmologia, anche Hugo Münsterberg nel 1916, ma è il luogo di un desiderio costitutivo del soggetto, è una macchina simulatrice che produce nella psicologia dello spettatore una regressione artificiale simile al sogno e alla scena dell'inconscio.
Baudry distingue l'apparato di base (appareil de base), che concerne l'insieme degli strumenti tecnici e delle operazioni necessarie alla produzione e alla proiezione di un film (pellicola, macchina da presa, sviluppo, montaggio, proiettore ecc., intesi nel loro aspetto tecnico) dal dispositivo (dispositif) vero e proprio, che concerne unicamente gli effetti che le condizioni di proiezione del film hanno sul soggetto-spettatore e che sono stati compresi e chiariti grazie alla psicoanalisi, soprattutto quella lacaniana. Sembra quindi che per Baudry il termine dispositivo sia una modalità specifica interna al concetto di istituzione e di apparato cinematografici e che non rimandi tanto a una tecnica o a una macchina, quanto agli effetti metapsicologici che questa tecnica produce, alle simulazioni (il cinema simula un'organizzazione anteriore del soggetto, una regressione allo stadio pre-edipico in cui non vi è distinzione tra sé e gli altri) e alle metafore (il sogno, la scena dell'inconscio, il mito della caverna di Platone) che sottende. Il primo testo di Baudry, Effets idéologiques produits par l'appareil de base (1970), fu scritto a seguito di un'intervista rilasciata da Marcelin Pleynet a Gérard Leblanc ‒ per la rivista “Cinéthique” ‒ che ebbe una vasta eco e scatenò un ampio dibattito e numerose polemiche a proposito del rapporto tra il sistema di rappresentazione e gli effetti ideologici che il sistema stesso (il modo in cui è costruita la macchina da presa, in questo caso) produce sullo spettatore. Oltre a Baudry, intervennero, tra gli altri, Jean-Paul Fargier, Jean-Patrik Lebel, Jean-Louis Comolli, Jean Narboni e Pascal Bonitzer. 
La macchina da presa ‒ sostengono i fautori della concezione “materialista” del cinema, come Pleynet ‒ non è una grande finestra aperta sul mondo che registra in modo oggettivo e neutrale la realtà, ma è una ricostruzione di questa realtà in base ai canoni della prospettiva rinascimentale e a leggi ottiche che annullano qualsiasi “naturalità” della visione e riproducono la realtà in modo ideologicamente falsato, assegnando allo spettatore una posizione privilegiata e prefissata, poiché il suo occhio coincide con il punto di fuga delle linee prospettiche e gli oggetti, i corpi e le proporzioni all'interno dell'inquadratura ne determinano, di volta in volta, la distanza. “La macchina da presa è minuziosamente costruita per “rettificare” ogni anomalia prospettica, per riprodurre, attraverso la sua autorità, il codice della visione speculare così come è definito dall'umanesimo rinascimentale” (Pleynet 1969). 
In questo modo lo spettatore, sostiene Baudry (1970), diventa un “soggetto trascendentale”, dotato di una visione onniveggente, in grado di vedere meglio e di più degli stessi personaggi implicati nella scena del film, indotto all'immaginaria illusione di dominare ciò che vede, come avrebbe sottolineato anche Thierry Kuntzel (1972). “Il mondo si costituisce per lui e attraverso di lui”, ribadisce ancora Baudry. 
Il cinema insomma si basa su un sistema di rappresentazione, quello del codice prospettico, strettamente legato a un'ideologia elaborata dall'Umanesimo del Quattrocento per sostenere la nascente borghesia. Tale codice veicola quindi una concezione idealista, metafisica e trascendente, fautrice di un'idea di omogeneità, di pienezza e di armonia, in cui il lavoro di trasformazione, che sia dalla materia prima alla merce o, come avviene nel caso del cinema, dalla realtà alla sua rappresentazione, deve essere occultato e dissimulato. A questa operazione “ideologica”, basata sul modo in cui è costruita la macchina da presa, si aggiunge il dispositivo in atto nella fruizione del film, dove i differenti elementi ‒ proiettore, sala buia e schermo ‒ pongono lo spettatore in uno stato di sottomotricità, di sovrapercezione visiva e di fascinazione e attrazione, di gioco identificatorio con lo specchio-schermo.




Tutti pensano che esista solo una realtà, ma ne esistono tante. Ciò che facciamo in una, influisce sulle altre. Il tempo è un’invenzione. Dicono che il passato non si possa cambiare, ma si può. Ecco cosa sono i flashback. Inviti a tornare indietro e prendere decisioni diverse. Quando prendi una decisione pensi di prenderla tu, ma non è così. È lo spirito connesso al nostro mondo a decidere cosa facciamo. Noi dobbiamo solo assecondarlo. Gli specchi consentono di viaggiare nel tempo. Colin Ritman, Bandersnatch

Ne consegue, secondo Baudry, non soltanto, come sostenevano i filmologi, l'individuazione di uno stato di regressione artificiale dello spettatore stesso, ma anche l'ipotesi di un'analogia con lo “stadio dello specchio” descritto da J. Lacan, in cui lo spettatore rivive, specchiandosi nello schermo, la formazione immaginaria del proprio Io. Al cinema, continua Baudry, si sviluppa in questo modo una doppia identificazione: quella primaria, con ciò che permette allo spettatore di vedere, quindi con il suo sguardo, che coincide a sua volta con il punto di vista della macchina da presa, e quella secondaria, con ciò che lo spettatore vede, con i personaggi e le storie che passano sullo schermo.
Cinque anni dopo, all'inizio del saggio successivo Le dispositif, Baudry stabilisce un'importante analogia, quella tra il mito della caverna di Platone (La Repubblica, libro VII, 514a-515d) e il dispositivo cinematografico. Platone parla di prigionieri vissuti “fin da fanciulli” in una “sotterranea dimora”, ivi incatenati, immobili, costretti a guardare sempre davanti a sé sul fondo della caverna dove, grazie a un fuoco che arde “dall'alto e da lungi”, vengono proiettate delle ombre che ai prigionieri, nella loro condizione di “profonda ignoranza”, sembreranno “cose vere e proprie”, mentre sono solo “cose vane”. Queste ombre infatti non sono che il riflesso di statue e di simulacri (immagini in pietra e in legno) che dei passanti (simili a dei burattinai), dietro un piccolo muro, portano al di sopra delle loro teste. Incatenato sempre allo stesso posto e nella stessa posizione, il prigioniero della caverna di Platone crede di vedere cose più vere degli originali e scambia vaghe ombre per uomini in carne e ossa.
Tra il mito platonico e il dispositivo le somiglianze sono davvero sorprendenti: sostanzialmente il dispositivo ideato da Platone descrive, in termini mitici e arcaici, quello del cinema sonoro e la situazione dello spettatore, il quale è vittima, come il prigioniero della caverna, di un'illusione di realtà ‒la cosiddetta impressione di realtà‒ e di una immobilizzazione forzata, “incatenato” allo schermo come i prigionieri “in catene” di Platone. E così come il prigioniero di Platone è vittima di un'allucinazione o di un sogno, di un'illusione nel rapporto di conoscenza della realtà, nello stesso modo lo stato e la posizione dello spettatore sono simili a quelli del sognatore o di chi è in preda ad allucinazioni. Quindi “Il cinema, come il sogno, corrisponderebbe a una forma di regressione passeggera, ma mentre il sogno, secondo l'espressione di Freud, sarebbe “una psicosi allucinatoria normale”, il cinema proporrebbe una psicosi artificiale […]. Riteniamo che la possibilità di una tale regressione riguardi la sopravvivenza di stadi superati dello sviluppo, ma che essa si trovi investita da un desiderio, come prova l'esistenza del sogno. Desiderio notevolmente definito, consistente nell'ottenere dalla realtà una posizione, uno stato nel quale la percezione non si distingua dalle rappresentazioni. Si può supporre che è questo desiderio che influenza la lunga storia dell'invenzione del cinema: fabbricare una macchina simulatrice capace di proporre al soggetto delle percezioni che hanno il carattere di rappresentazioni prese per delle percezioni” (Baudry 1975).
L'invenzione del cinema si fonda quindi, come ci suggeriscono i prigionieri di Platone, su una necessità archetipica: è l'appagamento di un desiderio arcaico, il risarcimento di una perdita, il ritorno, artificiale, a uno stadio di sviluppo anteriore, a quella situazione di narcisismo primario in cui l'Io non è ancora separato dall'altro e in cui rappresentazioni mentali e percezioni reali si confondono. Il dispositivo, infatti, è una macchina simulatrice, non tanto, come è stato sempre detto, perché riproduce e restituisce la realtà, ma in quanto è modellato sull'apparato psichico del soggetto-spettatore, inteso nel senso di soggetto dell'inconscio, di soggetto diviso e pulsionale. L'impressione di realtà che si ha al cinema è dovuta non soltanto al fatto che, grazie al montaggio e alle condizioni in cui il film viene proiettato, lo spettatore può dare unità, continuità e movimento, e quindi senso, a immagini fisse e discontinue, ma anche al fatto che il dispositivo (l'oscurità della sala, le immagini luminose in movimento, l'immobilità forzata e la situazione di passività dello spettatore) crea un effetto sul soggetto, quello che Baudry chiama “l'effet cinéma” (l'effetto cinema), che risulta paragonabile all'impressione di realtà che si ha nel sogno, a una forma di esperienza simile a quella del fantasticare e del sognare, ed è quindi assimilabile ai meccanismi di funzionamento dell'inconscio.
Dopo Baudry, con le riflessioni di Metz, Stephen Heath e altri, si può riscontrare un'oscillazione tra i termini istituzione, apparato e dispositivo e quindi anche una loro sovrapposizione o sinonimia. Per esempio, in area angloamericana il termine apparatus serve a tradurre sia appareil de base, sia dispositif, proponendo una reciprocità e un intreccio tra la componente istituzionale, vale a dire industriale, tecnologica e ideologica che sottende il modo in cui il film è prodotto (un testo con le caratteristiche di continuità visiva, illusione spazio-temporale e impressione di realtà) e in cui è fruito (la sala buia, lo schermo illuminato, il fascio di luce del proiettore, lo spettatore immobile e silenzioso) e la componente psicologica e metapsicologica dello spettatore, i processi percettivi, consci e inconsci, del piacere e del desiderio.
Metz (1977), a sua volta, parla, oltre che di dispositivo, di istituzione cinematografica, intendendo con questa espressione sia la macchina esterna, l'industria del cinema, sia la macchina interna, i meccanismi mentali dello spettatore, intesi in senso sociologico (il desiderio e l'abitudine sociale di andare al cinema), psicologico (il cinema mima i procedimenti percettivi della mente dello spettatore) e psicoanalitico (il cinema riattiva processi inconsci quali lo stato onirico, lo stadio dello specchio, la scena primaria e il complesso di castrazione).

Bandersnatch è curiosamente la metanarrazione della storia del dispositivo cinematografico, con la conseguente percezione che tutta l’istituzione cinematografica sia destinata ad espandersi in forme sempre più complesse e straordinarie, quanto lo era stato nel 1896 l’arrivo del treno dei Lumière alla stazione di La Ciotat.

Ma Bandersnatch è molto altro.



È tutto un codice. Se ascolti bene puoi sentire i numeri. C’è un diagramma di flusso cosmico che dice dove puoi e dove non puoi andare. Io ti ho dato la conoscenza. Ti ho liberato. Hai capito? Colin Ritman, Bandersnatch

Sugar Puffs o Kellogg’s Frosties?

La scelta è solo apparentemente ininfluente.
Da un lato evidenzia la prima chiave di lettura: l’uomo è ciò che mangia. Il consumatore nel prosieguo della storia supererà come nei “Pensieri sulla morte e l’immortalità” di Ludwig Feuerbach, la connessione tra individualità e sensibilità, propria di un corpo legato allo spazio e al tempo, per arrivare alla negazione della libertà di pensiero e del libero arbitrio.
Da un altro lato, se la scelta dei Sugar Puffs (un vero cereale che è stato ribattezzato “Honey Monster Puffs” nel 2014) sembra ideata per evitare possibili accuse a Bandersnatch di inserimento di prodotti a scopo pubblicitario, resta un dubbio su un possibile accordo di backend marketing tra Netflix e Kellogg's o General Mills. In ogni caso è evidente che la scelta potrà comunque essere determinante per un’analisi sempre più approfondita sui gusti dei consumatori. Netflix sarà in grado di associare prodotti con contenuti, generi o dati demografici specifici (ad esempio, patatine alla paprika-film d’azione-uomini di età compresa tra 18/30 anni). Inoltre sarà in grado di testare direttamente i progetti di packaging del prodotto (ad esempio, due diverse bottiglie di vino), un servizio che Netflix potrebbe vendere ai marchi prima che inizi la produzione.

Thompson Twins (Hold me Now) o NOW2 (Eurythmics-Here comes the Rain)?

Un’altra scelta apparentemente ininfluente.
Nel film, il flusso musicale rilevante è nella lista di Colin. Phaedra dei Tangerine Dream o Isao Tomita sarà infatti la scelta successiva, ma è importante citare The Bithday Party dei The Boys Next Doors per la copertina del loro disco così simile a quella di Bandersnatch e soprattutto Physical Evidence di NON (alias Boyd Rice). La musica commerciale degli anni 80 risulta quindi poco funzionale rispetto alla musica sperimentale, necessaria per il passaggio ad un’altra filosofia, sempre più agnostica e con richiami allo spencerismo sociale e all’eugenetica.
Sotto un altro aspetto è rilevante osservare che lo spettatore è invitato a fare una scelta estetica reale, non tanto per Stefan, il protagonista, quanto per se stessi. Una scelta da sempre preziosa per il regista viene inaspettatamente concessa al consumatore. Ma Netflix non invita gli spettatori a creare la colonna sonora di una scena: chiede ai telespettatori di scegliere un prodotto piuttosto che un altro. In questo processo ogni spettatore fornisce dati sulle sue preferenze musicali, a prescindere da eventuali future scelte diverse, effettuate al solo scopo di verificare l’incidenza della scelta sulla storia. Ciò potrebbe aprire la strada a transazioni di data mining con artisti, come Spotify, Apple Music o Amazon Music, che potrebbero essere realizzati durante la pre-produzione o anche prima. Netflix potrà progettare interi spettacoli per determinare gusti e coinvolgimenti.

Stefan o Colin?

Ecco l’influenza della scelta sulla storia. Ma non è solo sulla storia. Il modo in cui gli utenti gestiscono questa decisione (il tempo impiegato nella scelta, la frequenza in cui si ritorna o si evita una determinata opzione durante i replay) sono indicatori comportamentali. Queste scelte non offrono solo una visione senza precedenti di ciò che gli abbonati di Netflix vogliono da una storia o quali siano le scelte che più vogliono vedere i personaggi.
I dati generati dagli utenti avevano già guidato il processo decisionale creativo di Netflix nella produzione e commercializzazione di film originali come Bright (è utile ricordare che in base alle preferenze espresse dai suoi clienti e nonostante le perdite d’esercizio, Netflix avesse investito 90 milioni di dollari nella produzione di un film, che nonostante la mancata distribuzione in sala e la critica negativa, è stato visto nei primi 3 giorni di programmazione da 11 milioni di americani, secondo i più aggiornati dati Nielsen). Bandersnatch rappresenta una nuova forma di data mining che offre a Netflix informazioni sul pubblico più ricche e specifiche di quante ne abbia mai avute prima. Questo potrebbe incidere su ogni tipo di profilazione, ma anche per orientare le scelte nella sceneggiatura e in molti altri ambiti. Se Bandersnatch offre solo due opzioni binarie, in futuro Netflix potrebbe presentare scenari con un numero maggiore di scelte, ciascuna creata su misura per la raccolta di dati. Dove il sequenziamento è relativo -come le trame parallele in Bandersnatch che ritraggono diversi percorsi che Stefan potrebbe prendere, e che non hanno alcuna relazione l'uno con l'altro- Netflix potrebbe riposizionare sequenze a seconda di chi sta guardando e in base alle scelte già effettuate. Tra l’altro la struttura interattiva non necessita di essere visibile agli spettatori. Gli esempi sopra riportati di patatine, bottiglie di vino e colonne sonore potrebbero applicarsi a contenuti che apparirebbero statici ma che incorporerebbero prodotti o servizi diversi a seconda della visione individuale. Netflix, che già effettua decisioni artistiche e di marketing basate sul comportamento degli abbonati, potrebbe pertanto incorporare contenuti di qualunque tipo in base alle scelte già effettuate dal pubblico attraverso altri contenuti sulla piattaforma. Per esempio, mentre uno spettatore potrebbe semplicemente vedere un vino rosso, un altro potrebbe vedere una birra. Questo tipo di posizionamento su misura del prodotto avrebbe poco impatto sulla trama di un dato titolo, rendendo più facile l'inserimento senza richiedere complicate riscritture. Da un punto di vista logistico, le riprese potrebbero essere raggruppate in flussi di lavoro VFX o sul set per minimizzare i costi di produzione. Nel frattempo, Netflix creerebbe efficacemente un'infrastruttura di marketing nascosta.

The End?

Crono divora i suoi figli, Zeus evira il padre e si pone al suo posto in veste di Dio supremo, infine Edipo, che uccide a sua insaputa il padre Laio e sempre a sua insaputa sposa la madre Giocasta.
Ecco uno dei finali di Bandersnatch. Ma ce ne sono altri, metafore delle interpretazioni del complesso edipico secondo Freud, Jung e soprattutto Lacan, attraverso il quale assume significanza l’importanza dell’accesso all’ordine linguistico del discorso per conseguire il piacere dell’appartenenza alla socialità umana. Il film (o il gioco) è un codice, decifrabile come ne “L’Anti-Edipo” di Deleuze e Guattari: tornare sull’errore del desiderio concepito come mancanza, per comprendere una follia che non deve essere ricondotta all’ordine, poiché è l’ambito sociale che deve essere interpretato in funzione della follia. Solo così può giustificarsi il senso valutativo di una recensione, sia essa pari a zero, duevirgolacinque o cinque stelle.
Netflix è stata un'azienda di dati più a lungo di quanto non sia produttore di contenuti. L’algoritmo del suo sistema di raccomandazione fu da subito il suo valore preponderante, e in seguito un aspetto importante della sua espansione globale. Ha permesso a Netflix di indirizzare i gusti con “microgenres” e generare art features personalizzate. Comprendere queste preferenze dell'utente è stato fondamentale per dominare il mercato che ha creato, tenendo gli iscritti all'interno del proprio ecosistema e guidando le liste di programmazione originali.
Bandersnatch è giunto in un momento cruciale per per Netflix: il suo valore azionario è sceso del 37% dal picco del luglio 2018, una tendenza che molti prevedono possa continuare con l'arrivo di Disney+ e con concorrenti come Amazon Prime che stabiliscono maggiori punti di appoggio nel mercato dello streaming .
L'interattività approfondita stabilisce un nuovo e potente circuito tra utenti, contenuti, piattaforme e brand/marketer. Questo diventerà ancora più potente quando voce, eye-tracking e realtà virtuale entreranno nell'immagine, incrementando le possibilità di tracciare le interazioni degli utenti con gli oggetti nei loro ambienti creati. Netflix attualmente ha un vantaggio tecnologico, e con Bandersnatch ha testato l'attenzione e il coinvolgimento degli spettatori. Condizionando la sua base di utenti nei desiderata, Netflix potrebbe ulteriormente avvantaggiarsi nella prossima realtà dell'intrattenimento.
Al suo meglio, tutta la serie Black Mirror ha mostrato come le tecnologie emergenti stiano attualmente modellando la società, e offre versioni da incubo dei modi in cui potrebbero modellarlo ulteriormente. Anche se Bandersnatch è ambientato in passato, potrebbe aver appena reso ancora più chiaro il modo in cui la tecnologia potrebbe plasmare il futuro dell'intrattenimento.

Siamo in uno stesso percorso, proprio adesso, tu ed io. E la fine di un percorso è irrilevante. Quello che conta è come le nostre decisioni su quel percorso influenzano il tutto.

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