Innocenza e Colpa
“Ama, ama
follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato, ama il
tuo peccato e sarai innocente” Romeo e Giulietta, William
Shakespeare
Secondo il mito
veterotestamentario, mordendo il frutto dell’Albero del Bene e del
Male, Adamo ed Eva rinunciarono alla felicità eterna dell’Albero
della Vita per acquisire la conoscenza; scelsero di separarsi
dall’Uno originario per diventare uomini.
La conoscenza, distruggendo la condizione paradisiaca dell’innocenza, precipitò
l’uomo nel peccato, nella ricerca inesauribile, nel dubbio eterno.
L’uomo non divenne
simile a Dio, rinunciò all’immortalità ma conquistò la libertà
e insieme il senso di colpa.
Dall’unione del
maschile e del femminile, le due polarità fondamentali
dell’esistenza, riuscì a ricostruire in terra il paradiso
terrestre, divenne creatore di nuove vite, conobbe il piacere e il
dolore ma perse la purezza dell’originaria innocenza, macchiata per
sempre dalla colpa originale. L’innocenza oggi indica la mancanza
di colpa o responsabilità morale e giuridica (per secoli sono stati
definiti figli della colpa i nati illegittimi o indesiderati),
ignoranza del male o stupidità; nel migliore dei modi l’innocenza
è associabile all’ingenuità del bambino o al candore di chi non è
stato corrotto dal mondo.
Nel Vangelo di Matteo si
legge: “Vi mando come pecore in mezzo ai lupi”, eppure i lupi
spesso non si fanno riconoscere, mentre l’ingenuità senza difese,
fiduciosa di vivere in un mondo autentico e senza menzogne, è
destinata a soccombere. Amore, Forza e Compassione, pilastri
dell’Albero della Vita, non furono dati ai nostri progenitori, che
precipitati anzitempo nel nulla, regredirono velocemente nella
confusione dell’ignoranza e della crudeltà.
“Il poeta regnava
affianco del carnefice”, “al sorriso insanguinato dell’innocenza”
scrive Milan Kundera ne “La vita è altrove”: tra il desiderio di
essere felice e l’impossibilità di esserlo, tra il bisogno di
libertà e la schiavitù di una vita piena di contraddizioni,
volgarità, insensibilità, il candore dell’innocenza è il ricordo
ancestrale di un Eden primigenio, rimasto forse nei sogni, nella
fantasia, talvolta nella poesia, nella musica o nella letteratura,
come dono o come condanna.
Per Stig Dagerman
l’innocenza era insieme il bene più prezioso e il peggiore dei
mali, cristallo purissimo che la vita infangava con la sua volgarità.
Questo scrittore dalla sensibilità esasperata, abbandonato dalla
madre in tenerissima età, ci racconta il suo dolore e il suo male di
vivere attraverso i bambini dei suoi libri che tentano di venire a
patti con la durezza di una società che li fa sentire sbagliati,
tristi, disillusi più degli adulti e senza sogni.
L’innocenza del bambino
è curiosità, desiderio, scoperta, forza e incoscienza “Non è
vero che un bambino che si è bruciato sta lontano dal fuoco”
scrive Dagerman in “Bambino bruciato”.
Egli “è attirato dal
fuoco come una falena alla luce, sa che se si avvicina si brucerà di
nuovo. E ciononostante si avvicina”. Innocenza e colpa si
confondono nella solitudine del piccolo Pin de “Il sentiero dei
nidi di ragno” di Calvino.
In un piccolo paese della
Liguria, all’epoca della seconda guerra mondiale, Pin, orfano di
madre, abbandonato dal padre e dalla sorella prostituta, cerca
affannosamente un po’ di compagnia, conservando una sua particolare
innocenza, nonostante beffe e rifiuti. Sottrae la pistola di servizio
a un marinaio tedesco, amante della sorella e la nasconde in un nido
di ragni. Portato in carcere, conosce Lupo Rosso che prima lo aiuta a
evadere ma poi lo abbandona a girovagare nel bosco dove, insieme ai
partigiani, sperimenta il coraggio e il tradimento, la solidarietà e
la viltà, la rabbia, la morte, la fuga. Il rifugio del nido dei
ragni, spazio in una natura quasi surreale, offrirà finalmente a
Pin una sorta di grembo
materno dove è ancora possibile ritrovare il sogno di un’infanzia
pulita e l’innocenza misteriosa e fiabesca di un bambino a cui è
stato dato di giocare con una pistola.
Per Calvino l’innocenza
è la ricerca inconsapevole di un paradiso perduto, di una sorta di
stato originario in cui si è a contatto costante con una natura
incontaminata e che, nella figura di “Marcovaldo” diventa un
mezzo di salvezza, l’unica soluzione all’alienazione di un
capitalismo esasperato.
A lui si contrappone il
pensiero di Pasolini che assimila l’innocenza all’ignoranza, considerata una colpa e una condanna.
C’è una certa
analogia, comunque, tra i partigiani vissuti da Pin come compagni e i
ragazzi delle borgate romane che sciamano nella Roma desolata e
violenta della periferia.
Come Pin anche i “ragazzi
di vita” di Pasolini sono privi di una identità e consapevolezza,
entrambi vittime della follia degli adulti.
Non sono innocenti ma non
possono considerarsi colpevoli i ragazzi costretti a subire miseria,
perversioni e ingiustizie se non sono stati resi consapevoli da una
società malata e da genitori e adulti irresponsabili.
Recuperare l’innocenza
ricercando la purezza dell’infanzia come rifugio e mezzo di
salvezza è difficile, diventa impossibile quando i grandi hanno
rubato ai bambini l’infanzia sprofondandoli nelle miserie gonfie di
vuoto e di dolore.
È una colpa di tutti
la miseria contrapposta allo spreco, è una colpa ignorare gli orrori
di una guerra anche se lontana da noi, è una colpa non assumersi la
responsabilità nei confronti degli altri e di se stessi.
È compito difficile e
doloroso, ma non impossibile, procedere a tentoni alla ricerca di se
stessi, venire a patti con i limiti e i compromessi della vita con la
nostalgia del passato, quando la vita era un’attesa, un gioco,
una costante scoperta e l’innocenza chiedeva attenzione e
comprensione, contenimento e consolazione nella solitudine.
Colpa è rinunciare a
comprendere che in ogni bambino possiamo ritrovare una parte di noi
che abbiamo dimenticato, quando eravamo senza passato e l’innocenza
si leggeva nella magia del sorriso, quando la fantasia era creatività
pura che non mirava che alla gioia.
Liberarci dall’innato
senso di colpa presuppone avere la fortuna di essere accolti, amati
ed aiutati a crescere.
Un rapporto tra il mondo
degli adulti e quello dei bambini ce lo regala Jordi Sierra i Fabra
in “Kafka e la bambola viaggiatrice”, racconto ispirato a un
episodio reale della vita di Kafka.
Un giorno Kafka,
passeggiando in un parco, si imbatte in una bambina che piange
disperatamente. C’è così tanto dolore nei suoi occhi che Kafka le
va incontro e scopre che la piccola Elsi ha perduto la sua bambola
Brigida. Colpito da tanto dolore cerca di consolarla inventando una
storia. Le dice che la bambola è partita per un lungo viaggio, per
conoscere il mondo e raccontarle le varie avventure, come fanno
tutte le bambole con le bambine che stanno diventando grandi. Egli sa
tutto perché è il postino delle bambole e riceve quotidianamente
lettere da Brigida. Da quel momento l’uomo e la bimba si
incontreranno ogni giorno per leggere le lettere che Kafka scriveva
e, in quanto postino, riceveva da Brigida per Elsi. Dopo diversi
incontri lo scrittore le regalò una bambola, naturalmente diversa da
Brigida (“I miei viaggi mi hanno cambiata”). Qualche tempo dopo
Elsi trovò dentro la bambola questo biglietto “Ogni cosa che tu
ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine
l’amore muterà in una forma diversa”. Kafka aveva trasformato
la realtà per preservare Elsi dalla delusione; con i suoi racconti
la conteneva, le dava amore e la rassicurava delle complicazioni
della vita, preparandola ad affrontare le inevitabili rinunce.
Le favole che raccontiamo
e ci vengono raccontate sono indispensabili in un mondo che ci
proietta negatività. Per un processo di strutturazione logica della
mente c’è uno spazio temporale ben preciso che, una volta
perso, è molto difficile recuperare.
Kundera
Milan, La vita è altrove (trad. Serena Vitale), Milano, Adelphi,
1987
Dagerman
Stig, Bambino bruciato (trad. Guido Tozzetti), Milano, Iperborea,
1994
Dagerman
Stig, Il nostro bisogno di consolazione (trad. Fulvio Ferrari),
Milano, Iperborea, 1991
Calvino
Italo, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1947
Calvino
Italo, Marcovaldo ovvero le stagioni in città, Torino, Einaudi, 1963
Pasolini
Pier Paolo, Ragazzi di vita, Milano, Garzanti, 1955
Sierra i
Fabra Jordi, Kafka e la bambola viaggiatrice (trad. Elena Rolla),
Milano, Salani, 2016
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